TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 13,31-35)
Quando Giuda fu uscito dal Cenacolo, Gesù disse: «Ora il Figlio dell'Uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in Lui. Se Dio è stato glorificato in Lui, anche Dio Lo glorificherà da parte sua e Lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un Comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come Io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri». Parola del Signore.
RIFLESSIONI
"Vi do un Comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come Io ho
amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno
che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri".
Amiamo sempre e quando le tentazioni sono forti con maggiore intensità e
fiducia.
Il duplice comandamento dell'amore
Il Comandamento dell'amore è un insegnamento lasciato da Gesù Cristo che
costituisce il fulcro dell'etica cristiana. Ha un ruolo centrale nel Nuovo
Testamento, dove il comandamento viene ribadito e declinato più volte e in
formule diverse.
In tutti i vangeli sinottici è presente il duplice comandamento dell'amore, che
ha la particolarità di unire l'amore di Dio e l'amore verso il prossimo.
L'insegnamento, che riprende in una sintesi originale alcuni passi dell'Antico
Testamento, semplifica i numerosi precetti che regolavano la vita religiosa del
tempo indicando una linea essenziale di condotta per i seguaci di Gesù. È noto
anche come il "massimo comandamento" o "il comandamento più
grande".
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 14,21-26)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Chi accoglie i miei comandamenti
e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e
anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Gli disse Giuda, non l'Iscariòta: «Signore, come è accaduto che devi
manifestarti a noi, e non al mondo?».
Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo
amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama,
non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del
Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo
Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e
vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto». Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Nel Vangelo di oggi, nostro Signore ripete questo concetto almeno tre volte: se
uno lo ama, osserverà la sua parola, le sue parole e i suoi comandamenti.
Osservare i suoi comandamenti (riassunti in quello dell'amore), osservare le
sue parole (cioè il suo insegnamento), è possibile solo se osserviamo la sua
parola, in particolare quando la Parola del Padre si è impossessata dei nostri
cuori (sant'Agostino).
È l'opera dello Spirito Santo, l'amore fra il Padre e il Figlio, che è stato
riversato nei nostri cuori per mezzo dei sacramenti. Come la missione del
Figlio ha avuto per effetto di condurci presso il Padre, così la missione dello
Spirito Santo ha per effetto di condurci al Figlio (san Tommaso d'Aquino). È
proprio lo Spirito Santo che ci rende capaci di affrontare ogni cosa per
Cristo. Vieni, Spirito Santo!
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 14,27-31)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Vi lascio la pace, vi do la mia
pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto:
"Vado e tornerò da voi". Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre,
perché il Padre è più grande di me. Ve l'ho detto ora, prima che avvenga,
perché, quando avverrà, voi crediate.
Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il prìncipe del mondo; contro di
me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il
Padre mi ha comandato, così io agisco». Parola del Signore.
RIFLESSIONI
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi»
Gv. 14,27
Queste parole dette da Gesù fanno parte del discorso d'addio dell'Ultima Cena:
sono un po' il suo testamento spirituale. Gesù prepara i suoi discepoli a
vivere il futuro, quando Lui non sarà più fisicamente in mezzo a loro e verrà
un altro "Consolatore (il Paraclito, lo Spirito Santo) e porterà la pace
come grande dono.
La pace non è solo assenza di guerra, non è solo frutto di compromessi, ma è
fondamentalmente l'insieme dei beni messianici, la serenità e la gioia della
concordia e del rispetto reciproco.
Una pace che nasce dal sacrificio di Cristo sulla croce e dalla gioia della
risurrezione e che si diffonde tra le persone che incarnano il messaggio di
Cristo.
O Signore, fa' che tutti gli uomini si ritrovino uniti nella concordia e nella
pace.
«Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi Apostoli: "Vi lascio la pace,
vi do la mia pace", non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua
Chiesa, e donaci unità e pace secondo la tua volontà.
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 15,1-8)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre
mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni
tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri,
a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso
se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la
vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché
senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come
il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete
e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto
frutto e diventiate miei discepoli». Parola del Signore.
RIFLESSIONI
In questo brano Gesù scongiura i suoi amici di rimanere in lui, nel suo amore,
per portare molto frutto e per godere la gioia in pienezza. L'espressione
dominante di questo testo è "rimanere in", che ricorre sette volte.
Gesù si presenta come la vite della verità: in questo modo afferma di essere il
Cristo, il profeta definitivo atteso dagli ebrei e la fonte della rivelazione
piena e perfetta.
Nell'Antico Testamento la vite ha simboleggiato il popolo d'Israele.
Il salmo 80 canta la storia del popolo di Dio utilizzando l'immagine della vite
che Dio ha divelto dall'Egitto per trapiantarla in Palestina, dopo averle
preparato il terreno.
La presentazione del Padre, come l'agricoltore che coltiva la vite identificata
con Gesù, richiama il canto d'amore di Isaia 5,1-7 nel quale il Signore è
descritto come il vignaiolo che cura la casa d'Israele.
La vite-Gesù produce numerosi tralci; non tutti però danno frutto. Il portare
frutto dipende dal rapporto personale del discepolo con Gesù, dall'unione
intima con il Cristo. L'opera purificatrice di Dio nei discepoli di Gesù ha
come scopo una fecondità maggiore.
Dio purifica i discepoli dal male e dal peccato per mezzo della parola di Gesù.
Per Giovanni la purificazione è legata alla parola di Cristo, cioè
all'adesione, per mezzo della fede, alla sua rivelazione.
Gesù parla della mutua immanenza tra lui e i suoi amici. Nel passo finale del
discorso di Cafarnao, egli aveva fatto dipendere questa comunione perfetta tra
lui e i suoi discepoli dal mangiare la sua carne e dal bere il suo sangue (Gv
6,56). La finalità della comunione intima con Gesù, il frutto che ogni tralcio
deve portare è la salvezza.
L'uomo separato da Cristo, che è la fonte della vita, si trova nell'incapacità
di vivere e operare nella vita divina. Senza l'azione dello Spirito Santo è
impossibile entrare nel regno di Dio (Gv 3,5); senza l'attrazione del Padre,
nessuno può andare verso il Cristo e credere in lui (Gv 6,44.65).
Come il mondo incredulo si trova nell'incapacità totale di credere (Gv 12,39) e
di ricevere lo Spirito della verità (Gv 14,17), così i discepoli, se non
rimangono uniti al Cristo, non possono operare nulla
sul piano della fede e della grazia.
Chi non rimane in Cristo, vite della verità, non solo è sterile, ma subirà la
condanna del giudizio finale.
Una conseguenza benefica del rimanere in Gesù è l'esaudimento delle preghiere
dei discepoli da parte del Padre. L'unione intima e profonda con Gesù rende
molto fecondi nella vita di fede e capaci di glorificare Dio Padre.
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 15,9-11)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche
io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho
osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia
piena». Parola del Signore.
RIFLESSIONI
«La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». Gv 15,10
La gioia è la manifestazione del credente che nulla antepone all'amore di Dio e
vive alla presenza di Cristo. Dio ci ha amato per primo e si è manifestato nel
suo Figlio, che per noi ha sofferto ed è risorto. Per provare la gioia, il
cristiano deve restare nell'amore di Dio, cercare di fare la sua volontà,
sopportare le prove inevitabili della vita, senza cedere alla disperazione o
allo sconforto.
La gioia che ci dona il Cristo non è una manifestazione passeggera e spontanea
di un sentimento, non è una emozione momentanea, ma è una predisposizione del
cuore e dell'anima che ha la sua sorgente nello Spirito Santo. Se crediamo
veramente in Dio, dimoriamo nel suo amore, avvertiamo la tenerezza di sentirci
compresi, considerati e amati e diffondiamo gioia attorno a noi.
Attraverso la preghiera, la lettura meditata della Paola di Dio e soprattutto
attraverso la carità e il servizio concreti ai bisognosi, noi cambiamo la
nostra vita e la gioia diventerà una caratteristica fondamentale del nostro
essere cristiani. La gioia, come il bene, si diffonde da se stessa: se
incontriamo una persona gioiosa, quasi spontaneamente anche noi ci sentiamo
portati a gioire.
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 15,12-17)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato
voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi,
perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici,
perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate
e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che
chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi
amiate gli uni gli altri». Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Gesù lascia ai suoi discepoli il massimo comandamento, da cui si riconosceranno
suoi seguaci: amarsi gli uni gli altri. L'amicizia, nelle sue varie forme, è
sempre stata stimata da tutti i popoli. Ciò che unisce gli amici è soprattutto
la ricerca del vero, del bello, del buono.
Cristo ha chiamato i suoi discepoli "amici" dopo aver condiviso la
sua vita e il suo insegnamento, e ha donato loro il segno più grande
sacrificandosi sulla croce. L'amicizia supera ogni barriera (etnica,
linguistica, sociale, ecc.), anzi unisce nella concordia e nella pace. Pur
provenendo da ambienti e culture diverse, i cristiani sono uniti nel cuore e
nello spirito e per questo possono rispettarsi e amarsi per davvero (essere
quindi "cattolici", universali).
Gesù ha dato l'esempio più sublime di questa amicizia, donando la sua vita per
salvarci, perché - come ebbe a dire lui stesso - "nessuno ha un amore più
grande di colui che dà la vita per i propri amici" (Gv 15,13).
O Signore, donami una amicizia gratuita, che sappia vedere in tutte le persone
"amici" da onorare e amare.
"Cicerone"
"Coloro che eliminano dalla vita l'amicizia, eliminano il sole dal
mondo."
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 15,18-21)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se il mondo vi odia, sappiate che
prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo;
poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il
mondo vi odia.
Ricordatevi della parola che io vi ho detto: "Un servo non è più grande del suo
padrone". Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno
osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma faranno a voi tutto
questo a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato».
Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Una fede da proteggere e diffondere con la spada è ben debole. La storia è del
resto consapevole del paradosso che fa sì che la fede cristiana diventi più
forte quando è perseguitata. Il sangue dei martiri, scriveva Tertulliano, è
seme di cristiani. Ai giorni nostri, il termine "martire" è usato per definire
chiunque soffra e muoia per una "causa", che può essere l'idea di nazione, la
rivoluzione sociale, persino la "guerra santa" caldeggiata dai fanatici. Ma
simili martiri sono causa di sofferenze maggiori di quelle inflitte a loro
stessi. Il vero martire (dal greco, che significa testimone) soffre
semplicemente perché è cristiano: testimone di Cristo.
Il nostro secolo è stato davvero il secolo del martirio, con innumerevoli
martiri, come i cristiani armeni in Turchia, i cattolici in Messico, nella Germania
nazista, nell'ex Unione Sovietica e nell'Europa dell'Est, in Cina, in Corea, in
Vietnam, in Sudan... L'elenco potrebbe continuare. E, per restare vicino a noi,
molti sono coloro che affrontano un martirio "bianco", cioè senza spargimento
di sangue, tentando semplicemente di vivere la fede in un mondo sempre più ateo
o predicando le esigenze integrali dell'insegnamento della Chiesa nel campo
della morale, avendo per fondamento la rivelazione di Cristo. Non dobbiamo
essere sorpresi, ma piuttosto rallegrarci ed essere felici: è questo che egli
ci ha promesso.