IO SONO LA LUCE DEL MONDO IL VANGELO DEL GIORNO XVII DOMENICA E SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B IL VANGELO NEL 21° SECOLO
O Dio, nostra forza e nostra speranza, effondi su di noi la tua misericordia
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 6,1-15)
In quel tempo, Gesù passò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di
Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva
sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli.
Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse
a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?».
Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per
compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti
neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C'è
qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per
tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C'era molta erba in quel luogo.
Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano
seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono
saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla
vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei
cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è
davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano
a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo. Parola del
Signore.
RIFLESSIONI
Tutti gli evangelisti ci riportano il racconto del miracolo
della moltiplicazione dei pani. Si tratta di nutrire una grande folla di
persone e di seguaci di Gesù, radunati sulla riva nord-est del lago di
Tiberiade (cf. Mt 14,13-21; Mc 6,32-44; Lc 9,10b-17). Come dimostra
l'atteggiamento dei partecipanti, essi interpretano questo pasto come un segno messianico.
La tradizione ebraica voleva che il Messia rinnovasse i miracoli compiuti da
Mosè durante la traversata del deserto. Ecco perché, secondo questa attesa
messianica, si chiamava "profeta" il futuro Salvatore, cioè "l'ultimo Mosè".
Infatti, secondo il Deuteronomio, Dio aveva promesso a Mosè prima della sua
morte: "Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in
bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò" (Dt 18,18). Ecco
perché le persone che sono presenti durante la moltiplicazione dei pani cercano
di proclamare re Gesù. Ma Gesù si rifiuta, perché la sua missione non è
politica, ma religiosa.
Se la Chiesa riporta questo episodio nella celebrazione liturgica è perché essa
ha la convinzione che Gesù Cristo risuscitato nutre con il suo miracolo,
durante l'Eucaristia, il nuovo popolo di Dio. E che gli dà le forze per
continuare la sua strada lungo la storia. Egli precede il suo popolo per
mostrargli la via grazie alla sua parola. Coloro che attraversano la storia in
compagnia della Chiesa raggiungeranno la meta di tutte le vie, l'eredità eterna
di Dio (cf. Gv 14,1-7).
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 13,31-35)
In quel tempo, Gesù espose alla folla un'altra parabola, dicendo: «Il regno
dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo
campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più
grande delle altre piante dell'orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli
del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».
Disse loro un'altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una
donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se
non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del
profeta:
«Aprirò la mia bocca con parabole,
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo». Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Le due parabole che Gesù ci fa ascoltare oggi hanno un
tratto in comune: entrambe mettono in evidenza la potenza della vita divina in
noi.
Il regno di Dio è paragonabile ad un seme. Noi abbiamo ricevuto nel battesimo
questa vita che fa di noi dei figli di Dio. Ciò che ci è stato dato in germe
contiene già tutte le virtualità che appariranno a poco a poco nel corso della
nostra vita.
Nelle due parabole abbiamo una realtà nascosta: il seme è sprofondato nella
terra, il lievito nella farina. Ciò simboleggia la natura segreta della vita
che ci è stata data. L'averci Dio creati, nell'intimo del nostro essere, a sua
somiglianza fa sì che siamo sprofondati e celati in lui, con Cristo. Realtà
misteriosa la cui fecondità dipende dalla nostra risposta.
Come la terra ha una parte nella crescita del seme, come la pasta si forma
grazie all'azione del lievito, così noi dobbiamo offrire alla segreta presenza
del regno in noi la cooperazione della nostra fede, della nostra speranza e
della nostra carità. Allora la vita della grazia si sviluppa con una
straordinaria potenza, come stanno a significare l'albero nella prima parabola
e le tre misure di farina che fanno lievitare tutta la pasta nella seconda. La
potenza dispiegata in questa crescita testimonia l'azione di Dio nei suoi doni.
È lui che opera, e la sua azione tanto più si manifesta quanto più glielo
consente la nostra generosità. Spuntano allora i frutti di questa crescita:
ecco l'albero alto su cui vanno a fare il nido tutti gli uccelli, albero che è
simbolo dell'apostolato del cristiano, ma anche, in modo più nascosto, nella
comunione dei santi, dell'inestinguibile e misteriosa fecondità che Dio accorda
ai suoi figli. Questi frutti non sono necessariamente noti agli uomini, nemmeno
a colui cui sono stati concessi. Infatti sono della stessa natura del seme e
non di rado sono anch'essi nascosti. Gli uccelli stessi non sanno a quale seme
devono il loro rifugio, ma sono là e questo basta loro. Il Signore invece ci
conosce, vede la nostra fede, il nostro desiderio di diventare santi, la nostra
incapacità di riuscirci se non donandoci al fuoco inebriante del suo amore. Che
questa Eucaristia possa nutrire in noi la vita divina, permettendo così
all'albero della nostra grazia battesimale di crescere, per la gloria di Dio e
la gioia dei nostri fratelli.
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 13,36-43)
In quel tempo, Gesù congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli
si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo».
Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. Il campo
è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del
Maligno e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del
mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la
si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell'uomo
manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali
e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente,
dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole
nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!». Parola del Signore.
RIFLESSIONI
La personalità di sant'Ignazio è molto ricca e complessa e
io non ho la pretesa di presentarla. Voglio soltanto considerarne due aspetti:
la grazia che egli aveva di trovare Dio in tutto e la ricerca perseverante
della volontà di Dio, nella luce di Cristo.
Ignazio ha avuto la grazia di vedere Dio in tutto; di contemplarlo nella
creazione, nella storia, di trovarlo non soltanto nelle cerimonie religiose ma
nelle azioni di ogni giorno e in ogni circostanza: dicono che egli si
commuoveva fino alle lacrime davanti a un fiorellino, perché in esso vedeva la
bellezza di Dio. E incoraggiava i suoi compagni a vedere in tutto la gloria di
Dio, a trovare Dio in tutto, ad amare Dio in tutto. Trovare Dio in tutto è un segreto
molto importante per la vita spirituale. Dio non è un essere solitario, che se
ne sta in cielo: è un Dio presente in tutto, e non solo presente, ma che agisce
in tutto, e sempre con il suo amore.
La ricerca di Dio per sant'Ignazio era una realtà e non un sogno indistinto,
non lo cercava con l'immaginazione e la sensibilità; voleva realmente trovarlo
e per questo ricercava in tutto la volontà di Dio. Era un uomo riflessivo, che
studiava, esaminava e cercava con pazienza la soluzione più giusta.
Ignazio confidava di poter trovare la volontà di Dio mediante la preghiera,
nelle consolazioni e nelle desolazioni dello spirito. Quando si trattava di
cose importanti egli rifletteva per settimane intere, pregava, offriva la
Messa, per trovare quello che Dio voleva. Così la ricerca di Dio era molto
concreta, e altrettanto concreto il suo vivere con Dio.
Egli ebbe un desiderio ardente di conoscere Cristo intimamente, di amarlo, di
servirlo per sempre con tutto se stesso. E ricevette la risposta del Padre, in
una visione che lo colmò di gioia: "Io voglio che tu mi serva".
Servire il Padre e il Figlio, il Padre per mezzo del Figlio fu la felicità di
sant'Ignazio, in un amore totale: trovare Dio e trovarlo nell'essere compagno
di Cristo.
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 13,44-46)
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a
un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di
gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle
preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la
compra». Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Alfonso (Napoli 1696 - Nocera de' Pagani, Salerno, 1 agosto
1787), già avvocato del foro di Napoli, lasciò la toga per la vita
ecclesiastica. Vescovo di Sant'Agata dei Goti (1762-1775) e fondatore dei
Redentoristi (1732), attese con grande zelo alle missioni al popolo, si dedicò
ai poveri e ai malati, fu maestro di scienze morali, che ispirò a criteri di
prudenza pastorale, fondata sulla sincera ricerca oggettiva della verità, ma
anche sensibile ai bisogni e alle situazioni delle coscienze. Compose scritti
ascetici di vasta risonanza. Apostolo del culto all'Eucaristia e alla Vergine,
guidò i fedeli alla meditazione dei novissimi, alla preghiera e alla vita
sacramentale.
L'intento era quello di imitare Cristo, cominciando dai Redentoristi da lui fondati,
i quali andavano via via operando per la redenzione di tante anime con
missioni, esercizi spirituali e varie forme di apostolato straordinario.
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 13,47-53)
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Ancora, il regno dei cieli è
simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando
è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci
buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo.
Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella
fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro:
«Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un
padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
Terminate queste parabole, Gesù partì di là. Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Il regno dei cieli ammette pesci buoni e pesci cattivi. Sarà
così finché ci sarà tempo, fino a quando il tempo passerà in eternità. Il
realismo evangelico ci impedisce di progettare un paradiso in terra; ci libera
così da tutte le utopie, perniciose per la fede come per la convivenza umana.
In nome di ideali utopici si sono eliminati milioni di uomini concreti.
Dobbiamo rassegnarci a convivere con il male che continuamente rinasce in noi e
attorno a noi. La Chiesa, per non parlare del mondo, è fatta di santi e di
peccatori; di santi che peccano e di peccatori che cercano di convertirsi. Non ci
è lecito scandalizzarci e dimenticare che così come siamo, siamo cittadini del
regno. Il peccato ci rattrista, ma non ci deprime.
D'altra parte la prospettiva del giudizio finale, "quando gli angeli
separeranno i cattivi dai buoni", non ci consente di attendere passivi l'ultimo
giorno. Non possiamo essere utopici, ma ancor meno indifferenti. La lotta
contro il male è d'obbligo anche se la prospettiva è di un combattimento che
non finirà mai: "Militia est vita hominum super terram". Dio e il diavolo combattono
ancora nella storia e il campo di battaglia è il cuore dell'uomo (Dostoevskij).
Si tratta di una lotta pacifica e violenta nello stesso tempo. "I violenti si
impadroniranno del Regno di Dio" (Mt 11,12). La pace cristiana è inseparabile
dalla spada (Mt 10,34) portata da Cristo, anche se la competizione obbliga a
ferire se stessi prima degli altri.
Alla fine del combattimento sarà Cristo a concedere la vittoria. Presenteremo i
nostri pochi meriti, ma conteremo soprattutto su chi ha guadagnato anche per
noi. "Non possiamo dirci poveri finché possiamo contare sull'infinita ricchezza
dei meriti di Cristo" (San Domenico).
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 13,54-58)
In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga
e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i
prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama
Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle,
non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era
per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in
casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi. Parola
del Signore.
RIFLESSIONI
Cerchiamo le meraviglie sempre lontano: in paesi remoti, in
luoghi sconosciuti. Quanto è vicino a noi ci appare sempre banale, ovvio,
perfino deludente e un poco irritante.
E, invece, c'è di che stupirsi anche guardando dalla finestra. O perfino dentro
casa.
Pure le persone - quelle che accostiamo ogni giorno - ci si rivelano scialbe,
insignificanti, perfino urtanti.
E, invece, a saperle guardare con attenzione, nascondono drammi, sofferenze,
lembi di poesia. Possiamo vivere accanto a uomini e donne la cui esistenza non
si sorregge senza la fede, e non accorgerci di nulla: nemmeno sospettare.
E per il Signore?
Lo vorremmo sempre vedere nelle grandi opere, nei fenomeni strabilianti, nelle
vicende maestose e magari un poco eccentriche.
E invece egli si è rivelato in un uomo come noi. Straordinarissimo, poiché era
il Verbo di Dio, ma come noi, fuorché nel peccato.
E ci è prossimo nella selva di segni che ci sta attorno, nella sua parola, nei
suoi sacramenti, nelle persone più comuni, e sicuramente in quelle più povere.
L'importante è saper intuire il mistero dentro il più ovvio quotidiano.
Ci sta cercando. Ci sta sollecitando a rispondere.
Occorrono semplicemente gli occhi della fede.
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (RIFLESSIONI
Giovanni (Lione, Francia, 1786 - Ars 4 agosto 1859),
«curato» di Ars per un quarantennio, attirò moltitudini di persone di ogni
estrazione sociale con le sue catechesi e con il ministero della
riconciliazione. Uomo di austera penitenza, unì alla profonda vita interiore,
incentrata nell'Eucaristia, un generoso impulso caritativo. E' modello della
cura d'anime nella dimensione parrocchiale attraverso l'esempio della sua bontà
e carità anche se lui fu sempre tormentato dal pensiero di non essere degno del
suo compito. Trascorreva le giornate dedicandosi a celebrare la Messa e a
confessare, senza risparmiarsi. Morì nel 1859.
Papa Pio XI lo proclamerà santo nel 1925. Verrà indicato patrono del clero
parrocchiale.)
In quel tempo al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù. Egli
disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti e
per questo ha il potere di fare prodigi!».
Erode infatti aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in
prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo. Giovanni infatti
gli diceva: «Non ti è lecito tenerla con te!». Erode, benché volesse farlo
morire, ebbe paura della folla perché lo considerava un profeta.
Quando fu il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e
piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle quello che
avesse chiesto. Ella, istigata da sua madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio,
la testa di Giovanni il Battista».
Il re si rattristò, ma a motivo del giuramento e dei commensali ordinò che le
venisse data e mandò a decapitare Giovanni nella prigione. La sua testa venne
portata su un vassoio, fu data alla fanciulla e lei la portò a sua madre.
I suoi discepoli si presentarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e
andarono a informare Gesù. Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Giovanni (Lione, Francia, 1786 - Ars 4 agosto 1859),
«curato» di Ars per un quarantennio, attirò moltitudini di persone di ogni
estrazione sociale con le sue catechesi e con il ministero della
riconciliazione. Uomo di austera penitenza, unì alla profonda vita interiore,
incentrata nell'Eucaristia, un generoso impulso caritativo. E' modello della
cura d'anime nella dimensione parrocchiale attraverso l'esempio della sua bontà
e carità anche se lui fu sempre tormentato dal pensiero di non essere degno del
suo compito. Trascorreva le giornate dedicandosi a celebrare la Messa e a
confessare, senza risparmiarsi. Morì nel 1859.
Papa Pio XI lo proclamerà santo nel 1925. Verrà indicato patrono del clero
parrocchiale.