IL VANGELO DEL GIORNO PENTECOSTE IX DOMENICA E SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A IL VANGELO NEL 21° SECOLO
L'amore di
Dio è stato effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito,
che ha stabilito
in noi la sua dimora. (Rm 5,5; 8,11)
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 20,19-23)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte
del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù,
stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani
e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io
mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A
coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non
perdonerete, non saranno perdonati». Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo ed è la Persona
divina che diffonde nel mondo la possibilità di imitare Cristo, dando Cristo al
mondo e facendolo vivere in noi.
Nell'insegnamento e nell'opera di Cristo, nulla è più essenziale del perdono.
Egli ha proclamato il regno futuro del Padre come regno dell'amore
misericordioso. Sulla croce, col suo sacrificio perfetto, ha espiato i nostri
peccati, facendo così trionfare la misericordia e l'amore mediante - e non
contro - la giustizia e l'ordine. Nella sua vittoria pasquale, egli ha portato
a compimento ogni cosa. Per questo il Padre si compiace di effondere, per mezzo
del Figlio, lo Spirito di perdono. Nella Chiesa degli apostoli il perdono viene
offerto attraverso i sacramenti del battesimo e della riconciliazione e nei
gesti della vita cristiana.
Dio ha conferito al suo popolo una grande autorità stabilendo che la salvezza
fosse concessa agli uomini per mezzo della Chiesa!
Ma questa autorità, per essere conforme al senso della Pentecoste, deve sempre essere
esercitata con misericordiae con gioia, che sono le caratteristiche di Cristo,
che ha sofferto ed è risorto, e che esulta eternamente nello Spirito Santo.
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,1-12)
In quel tempo, Gesù si mise a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti, agli
scribi e agli anziani]:
«Un uomo piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il
torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò
lontano.
Al momento opportuno mandò un servo dai contadini a ritirare da loro la sua
parte del raccolto della vigna. Ma essi lo presero, lo bastonarono e lo
mandarono via a mani vuote. Mandò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo
picchiarono sulla testa e lo insultarono. Ne mandò un altro, e questo lo
uccisero; poi molti altri: alcuni li bastonarono, altri li uccisero.
Ne aveva ancora uno, un figlio amato; lo inviò loro per ultimo, dicendo:
"Avranno rispetto per mio figlio!". Ma quei contadini dissero tra loro: "Costui
è l'erede. Su, uccidiamolo e l'eredità sarà nostra". Lo presero, lo uccisero e
lo gettarono fuori della vigna.
Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e farà morire i contadini e
darà la vigna ad altri. Non avete letto questa Scrittura: "La pietra che i
costruttori hanno scartato è diventata la pietra d'angolo; questo è stato fatto
dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi"?».
E cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti
che aveva detto quella parabola contro di loro. Lo lasciarono e se ne andarono.
Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Su, uccidiamolo e l'eredità sarà nostra!I frutti dalla sua vigna sempre vanno dati al Signore. La vigna è sua, non nostra.
Gli appartiene per diritto eterno. La prima vigna di Dio è ogni uomo. Ogni uomo
è proprietà di Dio, proprietà per creazione, per alito di vita, per
sussistenza, per costante mantenimento in vita. Qual è il primo frutto della
vigna? Quello di riconoscere il Signore come il Signore e dare a Lui il frutto
di una obbedienza eterna. L'obbedienza si dona a Dio, donandola alla sua
Parola, ai suoi Comandamenti, alle sue Leggi.
Vigna del Signore è Israele, sono i figli di Abramo. Essi devono i frutti di
una fedeltà promessa, giurata ad un'alleanza da loro stipulata con il Signore.
All'obbedienza dovuta per creazione si aggiunge quella obbligatoria che nasce
dall'alleanza, dal patto bilaterale sancito tra essi e Dio. Il frutto è la
piena osservanza dei Comandamenti. Israele invece è immerso nella
trasgressione, nella violazione del patto. Così agendo impedisce che Dio possa
essere il suo Salvatore, il suo Custode, il suo redentore. Il Signore ama il
suo popolo. Non vuole che esso perisca e per questo ripetutamente manda loro i
suoi profeti per richiamarlo agli obblighi giurati. Ma senza successo. Anzi, i
suoi profeti vengono maltrattati, derisi, bastonati, uccisi.
Viene Gesù, il Figlio Eterno del Padre, il suo Unico Figlio. Cosa decidono i
contadini? Di ucciderlo, in modo che la vigna sia loro per sempre. È questa una
decisione che rivela il sommo della malvagità umana. Si uccide Dio per non
essere di Dio. Si vuole essere autonomi da Lui. L'uomo può anche decidere di
essere senza Dio, senza di Lui vi è solo la morte nel tempo e nell'eternità.
Una verità che l'uomo sempre deve conoscere vuole che Dio non obbliga a
scegliere Lui, a dare a Lui i frutti dell'obbedienza. Lui si annunzia come
vita. Vuoi la vita? Mi devi scegliere. Vuoi la morte? Scegli te stesso e uccidi
me. Uccidi solo la fonte eterna ed unica della tua vita. Ti incammini su un
sentiero di morte per sempre. È verità infallibile.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di vera obbedienza
a Dio.
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,13-17)
In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in
fallo nel discorso.
Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai
soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via
di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo
dare, o no?».
Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla
prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono.
Allora disse loro: «Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?». Gli
risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a
Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
E rimasero ammirati di lui. Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Gesù nell'Ultima Cena, prima della passione, ringrazia il
Padre prendendo il pane che doveva diventare il suo corpo, dato per noi. Gesù
ha riconosciuto nella Passione un dono del Padre. Dopo di lui e in lui ogni
prova è una possibilità, un'occasione di amore in unione a tutti quelli che
soffrono e quindi è giusto che ci sia rendimento di grazie per l'amore che Dio
vuol comunicarci.
Nel Vangelo Gesù, alla domanda insidiosa dei farisei, dà una risposta semplice
e complessa insieme, che si può spiegare in molti modi. Oggi mi sembra utile
sottolineare il senso di coerenza che egli insegna ai suoi avversari. "E
lecito o no dare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no?". Gesù sa che
cercano un pretesto per accusarlo, ma non si sottrae: "Portatemi un denaro".
Glielo portano e così dimostrano che loro stessi usano questo denaro, che
approfittano dell'organizzazione romana, che esercitano il loro commercio, che
guadagnano, che sono quindi inseriti per il loro interesse nella struttura
creata dal potere pagano. Perché dunque non pagare le imposte? Il loro vuol
essere un rifiuto per motivi religiosi, o con pretesti religiosi, o
semplicemente per desiderio di indipendenza. Ma Gesù mette in evidenza la loro
incoerenza, dicendo loro: "Se accettate l'immagine di Cesare per la vostra
vita, per coerenza dovete rendere a Cesare quel che è di Cesare". E
aggiunge subito: "E a Dio quel che è di Dio", che è la cosa
fondamentale, ma non esclude l'altra.
In realtà nella vita ci sono situazioni non del tutto logiche, ma anche in esse
i cristiani devono contribuire al bene dello stato in modo disinteressato,
anche quando sono perseguitati, per partecipare alla bontà di Dio. San Pietro
scrive nella sua prima lettera: "State sottomessi ad ogni istituzione
umana per amore del Signore", e aggiunge: "Comportatevi come uomini
liberi,... come servitori di Dio". La coerenza della Chiesa non consiste
nell'accettare tutto, ma solo a ciò che contribuisce al bene. Certo, questa è
una vita travagliata, che si accetta con spirito evangelico per contribuire
positivamente alla vita del paese, con il coraggio di aderire o di rifiutare le
situazioni a seconda che rispondano o no al vero bene dell'uomo.
IL VANGELO DEL GIORNO PENTECOSTE IX DOMENICA E SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A IL VANGELO NEL 21° SECOLO
Mercoledì della IX
settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,18-27)
Io sono il Dio di Abramo,
il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe.
***
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,18-27)
In quel tempo, vennero da Gesù alcuni sadducei - i quali dicono che non c'è
risurrezione - e lo interrogavano dicendo: «Maestro, Mosè ci ha lasciato
scritto che, se muore il fratello di qualcuno e lascia la moglie senza figli,
suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello.
C'erano sette fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza.
Allora la prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo
egualmente, e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì
anche la donna. Alla risurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà
moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie».
Rispose loro Gesù: «Non è forse per questo che siete in errore, perché non
conoscete le Scritture né la potenza di Dio? Quando risorgeranno dai morti,
infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli.
Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete letto nel libro di Mosè, nel
racconto del roveto, come Dio gli parlò dicendo: "Io sono il Dio di Abramo, il
Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe"? Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi
siete in grave errore». Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Il passo evangelico di oggi parla della risurrezione, la
sorgente della risurrezione è il cuore di Gesù.
Non dobbiamo concepire la risurrezione come un fenomeno materiale, un evento
fisico soltanto, un corpo morto che ridiventa vivo. Il Nuovo Testamento ci
manifesta la risurrezione come un evento di ordine spirituale profondo: per
ottenere la risurrezione la via per Gesù era trasformare la sua morte mediante
la preghiera. Non sono capace di spiegarmi bene, ma lo Spirito Santo vi farà
capire. Gesù non ha ricevuto la risurrezione in modo automatico, ma essa è
stata il frutto della sua passione. Gesù era immerso nell'angoscia al pensiero
di tante sofferenze e specialmente della morte. Il suo cuore sentì fortemente
questa angoscia, tanto da essere sopraffatto dalla tristezza, come dicono i
vangeli, dell'agonia: "La mia anima è triste fino alla morte" (Mc
14,34; Mt 26, 38); "In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il
suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra" (Lc 22,44).
Dovette trasformare questa angoscia, anzi la morte stessa per mezzo della
preghiera, dell'unione al Padre suo; dovette lottare nella preghiera perché la
via della morte si trasformasse in via dell'amore e perciò della risurrezione.
Gesù lottò contro la morte, non ribellandosi ad essa, ma per trasformarla in
sacrificio, in offerta, in apertura all'azione dello Spirito Santo, in atto di
obbedienza filiale al Padre, con la convinzione che egli poteva trasformare la
morte in varco verso la risurrezione.
Questo è il mistero più profondo, questa unione profonda dell'evento della
morte con quello della risurrezione, che si compie nel cuore del Signore. Il
cuore di Gesù è un cuore umano che ha ricevuto la potenza di Dio, dello Spirito
di Dio per trasformare la morte in cammino di risurrezione, per trasformare,
dobbiamo dire, tutto l'uomo, ottenendogli una nuova vita, una vita di figlio di
Dio, pur ancora nella vita della carne.
Chiediamo a Gesù che ci faccia penetrare un po' di più nelle profondità del suo
cuore, perché anche noi, come cristiani, siamo invitati a trasformare ogni
sofferenza, ogni nostra "via crucis" in via di risurrezione.
IL VANGELO DEL GIORNO PENTECOSTE IX DOMENICA E SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A IL VANGELO NEL 21° SECOLO
Giovedì della IX
settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,28-34)
Amerai il Signore tuo Dio
e il tuo prossimo come te stesso.
***
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,28-34)
In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il
primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: "Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico
Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua
anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza". Il secondo è questo:
"Amerai il tuo prossimo come te stesso". Non c'è altro comandamento più grande
di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è
unico e non vi è altri all'infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta
l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più
di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano
dal regno di Dio».
E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo. Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Ci dà sempre gioia ascoltare il Signore dirci che il primo
comandamento è amare e che anche il secondo è amare: amare Dio e il prossimo, e
che non c'è comandamento maggiore. Ci dà gioia perché corrisponde in pieno al
desiderio del nostro cuore che è fatto per amare, che vuole amare. Dio,
comandandoci di amare, viene incontro a questo profondo desiderio dell'uomo.
Potrebbe sorgere in noi una domanda: se questo desiderio è così profondo in
noi, che necessità c'era di farne un comando? Non è neppure possibile comandare
l'amore, l'amore non si comanda, è spontaneo, o c'è o non c'è.
In un certo senso è vero che non si può comandare di amare. Se Dio non avesse
messo nel cuore dell'uomo l'anelito profondo verso l'amore, il suo comandamento
sarebbe veramente stato inutile. Noi dobbiamo prima ricevere da Dio il dono di
amare, per potere poi osservare questo comandamento. Però esso non è inutile,
perché l'amore non è un dinamismo spontaneo: esige la nostra collaborazione,
esige che mettiamo al suo servizio tutte le nostre capacità di pensiero, di
affetto, di azione. Amare con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta la
forza non ci è dato subito, dobbiamo lentamente crescere nell'amore. Il nostro
amore è debole, è limitato, è mescolato a cose che lo inquinano e l'esperienza
ce lo conferma continuamente. E per questa ragione che il comandamento è
necessario e che in noi l'amore ha bisogno di tutte le attenzioni e di tutti gli
sforzi, come una pianticella fragile ha bisogno di cure per svilupparsi.
Nel libro di Tobìa (Tb
6,10-11;7,1.9-17;8,4-9) abbiamo un bellissimo esempio, molto importante per
l'educazione dell'amore. L'amore dell'uomo per la donna, della donna per l'uomo
è un dono di Dio, che ha posto in noi questa profonda tendenza. Ma questo
amore, nello stato di decadenza in cui il peccato ci ha posto, è terribilmente
viziato dall'egoismo; il desiderio sessuale è un aiuto all'amore, ma in un
altro senso può diventare un grave ostacolo, se si cerca nell'altro soltanto la
propria soddisfazione. Tobia e Sara ne sono coscienti e si dimostrano fedeli
all'amore. Dice infatti Tobia a Sara: "Sara, levati, preghiamo Dio... Noi
siamo figli di santi e non possiamo unirci alla maniera di quelli che non conoscono
Dio". E nella preghiera a Dio: "Signore, tu sai che io prendo in
moglie questa mia parente non per passione, ma solo per il desiderio di una
discendenza". Vediamo dunque, in questa drammatica storia, come il
dinamismo che ci spinge verso l'amore può essere in noi profondamente bisognoso
di purificazione.
Questo è vero per l'amore dell'uomo per la donna nel matrimonio, e lo è anche
nelle altre relazioni interpersonali. Sempre noi abbiamo tendenza a
strumentalizzare gli altri per i nostri fini, ad "usarli" invece di
amarli, a cercare in loro ciò che ci piace, ciò che soddisfa un nostro bisogno.
Per essere fedeli al comandamento dell'amore dobbiamo resistere a questa
tendenza, non dobbiamo lasciare che l'amore sia profanato dall'egoismo, ma
lavorare con pazienza a purificarlo.
IL VANGELO DEL GIORNO PENTECOSTE IX DOMENICA E SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A IL VANGELO NEL 21° SECOLO
Venerdì della IX
settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,35-37)
La folla numerosa
lo ascoltava volentieri.
***
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,35-37)
In quel tempo, insegnando nel tempio, Gesù diceva: «Come mai gli scribi dicono
che il Cristo è figlio di Davide? Disse infatti Davide stesso, mosso dallo Spirito
Santo:
"Disse il Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
sotto i tuoi piedi".
Davide stesso lo chiama Signore: da dove risulta che è suo figlio?».
E la folla numerosa lo ascoltava volentieri. Parola del Signore.
RIFLESSIONI
La nostra fede non si fonda su una parola della Scrittura,
su un solo Libro di essa, su una sola profezia. Si fonda invece su tutta la
Scrittura, tutti i suoi libri, tutte le sue profezie, ogni sua parola. Essa è
formata da una miriade di verità, alcune delle quali solo in apparenza sono in
contrapposizione con le altre, mentre in realtà sono i molteplici punti che
formano la linea del Mistero di Dio, di Cristo Gesù, dello Spirito Santo,
dell'uomo, dell'eternità, del tempo, della vita, della morte, della vittoria
sulla morte, della vita eterna. Diecimila verità fanno un solo mistero di Dio e
dell'uomo.
La Scrittura ci offre verità dopo verità, profezia dopo profezia, parola dopo
parola. A noi l'obbligo, sorretti e guidati dallo Spirito Santo di unificare
ogni più piccola rivelazione al fine di comporre tutta la verità del mistero.
Come si evince dai testi il Messia viene da Dio per generazione eterna e dalla
discendenza di Davide per generazione terrena. Il mistero diviene ancora più
fitto se leggiamo cosa ci narrano gli Evangelisti Matteo e Luca. Secondo la
loro parola ispirata il Messia è nato solo da Donna, dalla Vergine Maria, per
opera dello Spirito Santo. Da Giuseppe Gesù è stato adottato. Certo la sua è
adozione speciale, particolare, è in tutto simile all'adozione di Dio verso
ogni battezzato, ma Gesù non nasce dalla sua carne. Il mistero va ben oltre
ogni profezia. È la verità di Gesù che dona compiutezza di verità ad ogni
parola della Scrittura.
Quanto Gesù dice agli scribi nel tempio di Gerusalemme vuole rivelare non solo
agli scribi di ieri, ma a tutti coloro che nel nuovo regno di Dio sono teologi,
maestri, professori, dottori, evangelisti, profeti, catechisti, ministri della
parola, che il suo mistero è così alto, così spesso, così profondo che la stessa
Scrittura è obbligata a rivelarlo per verità separate. Anche se noi prendiamo
tutte le sue verità e le uniamo le une alle altre, il mistero di Gesù è ancora
infinitamente oltre, perché il suo è il mistero nel quale sono resi perfetti
sia il mistero di Dio che il mistero dell'uomo e di tutta la creazione. La
nostra mente è troppo piccola per poter penetrare e decifrare tutto ciò che è
Gesù Signore. Ogni giorno lo Spirito Santo ci deve offrire qualche altra luce.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci conoscere Gesù
Signore.
IL VANGELO DEL GIORNO PENTECOSTE IX DOMENICA E SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A IL VANGELO NEL 21° SECOLO
Sabato della IX
settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,38-44)
Questa vedova, così povera,
ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri.
***
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,38-44)
In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento:
«Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere
saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei
banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere.
Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti
ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine,
che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico:
questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti
infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria,
vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Parola
del Signore.
RIFLESSIONI
Il Vangelo di oggi ci fa vedere come dobbiamo unire nella
nostra vita di cristiani l'umiltà, la povertà, la carità. All'inizio il Signore
ci mette in guardia contro la tentazione di cercare la stima degli uomini, come
gli scribi, che perfino nel culto ne vanno in cerca: "Amano avere i primi
seggi nelle sinagoghe, ostentano di fare lunghe preghiere" e non pensano
che il vero culto a Dio è l'umiltà. Certo, non è un male desiderare la stima
degli altri, è normale, però se il nostro agire è mosso solo dalla ricerca
della stima non ne siamo più degni. Se amiamo "ricevere saluti nelle
piazze, avere i primi posti nei banchetti", siamo egoisti e superbi e nel
rischio di "ricevere una condanna grave": sono parole di Gesù.
La carità che piace a Dio è piena di umiltà, priva di ogni autocompiacimento.
Dobbiamo stimare molto tutte le azioni nelle quali carità e umiltà sono unite,
perché in esse la carità è custodita dall'umiltà e l'umiltà non è vuota, ma
serve alla carità. In questa pagina della Scrittura vediamo con quale
delicatezza il Signore fa l'elogio di questa donna povera e vedova, due
attributi che nella società del tempo attiravano disprezzo. Io ricordo di aver
ascoltato le lamentele di una vedova che, avendo fatto un'offerta modestissima
perché era molto povera, era stata disprezzata ed era veramente desolata. Le
raccontai questa scena del Vangelo, mostrandole che il Signore non misura le
offerte secondo la quantità di denaro, ma secondo la generosità del cuore e
guarda con maggior amore quelli che danno con umiltà, senza ricevere la
ricompensa della stima altrui. Li stima di più di quelli che possono dare molto
e ricevono una ricompensa immediata nella gratitudine, negli onori che si
tributano ai ricchi generosi. E ricordo che questa donna fu veramente
consolata, al pensiero di essere così ben capita dal Signore stesso. Due
spiccioli di una povera vedova valgono di più davanti al Signore di una somma
grandissima data da un ricco che nell'offrire non si priva di nulla:
"Tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi
ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere".
Questa è proprio l'elemosina che è "assai meglio che accumulare tesori,
libera dalla morte, purifica dai peccati" perché e un atto di carità vera.
Chiediamo al Signore che nelle nostre azioni ci sia sempre l'unione della
carità e dell'umiltà, perché esse siano sempre gradite ai suoi occhi.