IL VANGELO DEL GIORNO XXVI DOMENICA E SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C IL VANGELO NEL 21° SECOLO
IL VANGELO DEL GIORNO XXVII DOMENICA E SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C IL VANGELO NEL 21° SECOLO
IL VANGELO DEL GIORNO XXVI DOMENICA E SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C IL VANGELO NEL 21° SECOLO
Sabato Della XXVI
Settimana del Tempo Ordinario Anno C
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 10,17-24)
Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome.
Rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli.
***
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 10,17-24)
In quel tempo, i settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore,
anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome».
Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi
ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la
potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i
demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono
scritti nei cieli».
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti
rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto
queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre,
perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre
mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il
Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò
che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che
voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo
ascoltarono». Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Beati gli occhi che
vedono ciò che voi vedete.
Gesù è luce eterna, luce divina, luce purissima di sapienza, verità,
carità, amore, giustizia. Lui è la luce che illumina ogni mente, ogni cuore,
ogni pensiero. Tutta la storia sempre dovrà essere illuminata dalla sua luce.
Dopo la missione, i discepoli tornano dal Signore pieni di gioia. Loro hanno
visto, sperimentato che anche i diavoli si sottomettevano a loro quando glielo
comandavano nel none di Cristo Gesù. Gioire per la sottomissione dei diavoli è
una gioia effimera, inutile, vana. È una gioia non vera. Fermarsi ad essa è
perdere la gioia vera, quella eterna. Poiché i diavoli mi si sottomettono, mi
obbediscono, io sono a posto con Dio e con gli uomini. Contro questa illusione
Gesù aveva già illuminato i suoi nel Discorso della Montagna.
Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei
cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno
molti mi diranno: "Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo
nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non
abbiamo forse compiuto molti prodigi?". Ma allora io dichiarerò loro:
"Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate
l'iniquità!". (Mt 7,21-23).
Quale dovrà essere per il discepolo di Gesù la vera gioia? Lui si dovrà
preoccupare di una cosa: che il suo nome sia scritto nei cieli. Poiché come è
facile scriverlo così è anche facile cancellarlo, il cristiano dovrà impegnare
tutto se stesso perché ogni giorno esso venga scritto attraverso una vita
esemplare, una obbedienza perfetta ad ogni Parola di Gesù Signore. Se oggi vive
la Parola, il suo nome verrà scritto e rafforzato. Se invece non vive la
Parola, il suo nome viene sbiadito e cancellato. Quando il nome non è scritto
nei cieli, al momento della morte non si entra in esso. Si va dove il nome è
stato scritto e di sicuro esso è scritto nell'inferno. Con la nostra vita di
obbedienza costante scriviamo il nome il Paradiso. Con la vita di peccato lo
scriviamo nell'inferno.
Gesù non è luce accanto ad altre luci. È la sola luce vera del Padre. Chi vuole
essere luce per gli uomini, deve rivestirsi di grande umiltà e chiedere a Lui
ogni luce. Chi attinge luce dalla Luce vera dona luce. Chi non attinge, rimane
tenebra e sparge tenebra attorno a sé. Dotti, sapienti, intelligenti si credono
luce. Disprezzano, deridono, umiliano Cristo Gesù. Di Lui non hanno alcun
bisogno. Rimarranno in eterno nelle tenebre. Mentre piccoli, semplici, umili
sanno che essi non sono luce e si rivolgono a Gesù per ottenerla. Questi godono
della rivelazione che il Padre fa loro per mezzo della sua unica e sola vera
Luce. O si attinge da Lui, o si rimane nelle tenebre.
Gesù è il vero frutto della Legge, dei Profeti, dei Salmi. Legge, Profeti,
Salmi vivevano nella speranza di vedere anche uno solo dei giorni del
Rivelatore, Mediatore, Messia, Salvatore. Questa speranza è stata loro negata.
Questa speranza si compie tutta per gli Apostoli, i discepoli, i contemporanei
di Gesù. Essi possono gustare questo frutto benedetto nel quale il Padre ha posto
la benedizione di tutti i popoli. È una grazia così grande per la quale non
basta una eternità di benedizione e di ringraziamento al Signore. Eppure la
nostra insensibilità è grande. È come se nulla fosse avvenuto.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci gustare Cristo
Gesù.
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Venerdì Della XXVI
Settimana del Tempo Ordinario Anno C
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 10,13-16)
Gesù disse: «Guai a te, Corazìn, guai a
te, Betsàida!
Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti qesti prodigi si sarebbero
convertite.
***
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 10,13-16)
Gesù disse: «Guai a te, Corazìn, guai a
te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che
avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere,
si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate
meno duramente di voi.
E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi
precipiterai!
Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me,
disprezza colui che mi ha mandato». Parola del Signore.
Guai a te Corazin!
Gesù rimprovera coloro che credono mettendoli a paragone con coloro che sono
atei.
Quante persone che hanno Fede, che credono in Dio, si comportano poi male.
Quanti leggono i messaggi che il Signore invia loro, ma poi non li mettono in
pratica per indolenza, per la voglia di fare altro, per fatica. Quanti errori
commessi con la consapevolezza di stare sbagliando, di andare contro la Parola
di Dio.
E quanti, invece, che pur non credendo seguono certi valori legati alla
famiglia, all'aiuto del prossimo, al rispetto del mondo in cui vivono.
In realtà chi crede si abitua ai grandi doni, ai segni, ai miracoli che vede
ogni giorno, si abitua al respiro, alla luce del sole, al seme che morendo
origina un albero, si abitua al sacramento dell'eucarestia e del perdono. Si
abitua alla presenza di Dio nella propria vita e si scorda di ringraziarLo con
la preghiera, con piccoli gesti di solidarietà verso il prossimo, con un sorriso
verso chi ci vuole male.
E' un po' come fare il bagno nel mare, prima di immergerci vediamo questa
grande distesa con ammirazione, ne percepiamo la potenza, rimaniamo folgorati
dalla bellezza di una tranquillità assoluta e dalla forza di un libeccio, ci
innamoriamo di un tramonto ed esultiamo intravedendo i suoi abitanti. Quando
poi facciamo il bagno e siamo immersi in questo mare che tanto abbiamo ammirato
e cercato, tendiamo a vedere solo noi stessi che facciamo il bagno e tuttalpiù
qualche goccia d'acqua che è vicina a noi, dimenticando quella magnificenza che
tanto avevamo bramato.
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Giovedì Della XXVI Settimana del Tempo Ordinario Anno C
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 1,47-51)
"Come mi consce?"
Gli rispose Gesù: Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto.
***
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 1,47-51)
Gesù, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un
Israelita in cui non c'è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi
conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto
quando eri sotto l'albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il
Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto
che ti avevo visto sotto l'albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di
queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli
angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell'uomo». Parola del Signore.
RIFLESSIONI
"Come mi
consce?" Gli rispose Gesù: " Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho
visto quando eri sotto l'albero di fichi." Gv 1,48
Come vivere questa parola?
Con questo brano, Giovanni presenta la chiamata di Natanaele. Dal versetto
35 del capitolo 9, c'è un susseguirsi di inviti da parte di Giovanni Battista a
conoscere e seguire Gesù. Andrea e Filippo hanno incontrato Gesù di persona e
adesso vogliono condividerne l'esperienza entusiasmante e liberante. La testimonianza
è un aiuto valido per avvicinarci a Gesù ma l'incontro con lui è immediato e
personale. Vedendo Natanaele che si avvicina accompagnato da Filippo, Gesù lo
conosce dal di dentro come uomo giusto, senza falsità, alla ricerca della
verità. Natanaele sorpreso di essere così conosciuto chiede: "Come mi
conosce?" e Gesù gli rivela un momento personale in cui egli ha
sperimentato la presenza intima di Dio. Questa memoria evoca la stupenda
riconoscenza: "Tu sei il Figlio di Dio!". Nel silenzio del nostro
essere, anche noi avremmo avuto i nostri momenti di incontro personale, intimo
con il Signore.
Nella mia pausa contemplativa oggi, cerco di richiamare alla memoria,
rivisitare una mia esperienza di incontro con Dio, rievocando l'amore, la fede
e la fiducia che ciò ha suscitato nella mia interiorità.
Signore, Tu sei il mio Dio, di Te ha sete l'anima mia! Signore, accresci in me
la capacità di vederti, di conoscerti sempre più nel creato, nelle relazioni e
negli della mia vita. Fa' che anch'io possa essere testimone autentico che
annuncia agli altri: Venite e vedete!
Alla reazione di Natanaele è data una risposta molto semplice: "Vieni e
vedi". Non è un ragionamento, non è una teoria; è un fatto, che Gesù
stesso aveva già messo in moto quando ai due discepoli di Giovanni aveva detto:
"Venite e vedete". Gesù invita a fare esperienza pratica.
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Mercoledì
Della XXVI Settimana del Tempo Ordinario Anno C
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 9,57.69)
Ti seguirò Signore dovunque tu vada.
Il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo.
***
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 9,57.69)
Ti seguirò Signore dovunque tu vada.
Il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo.
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 9,57.69)
Mentre camminavano per la strada, un tale disse a Gesù: «Ti seguirò dovunque tu
vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo
i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo».
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare
prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i
loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio».
Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da
quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all'aratro e
poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio». Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Tu invece va' e
annuncia il regno di Dio
Gesù non scrive un trattato sulle esigenze della sequela. In tre piccolissime
frasi racchiude tutti i volumi che si sono scritti o si scriveranno sul
missionario del Vangelo e sulla sua missione di salvezza. Gesù vuole dei missionari
interamente dipendenti dal Padre, consegnati nelle sue mani, liberi da ogni
legame con la terra, distaccati da tutte le convenienze e abitudini degli
uomini. Queste condizioni devono stare insieme. Se una sola manca, la missione
mai potrà essere vissuta secondo verità.
Tre uomini oggi si incontrano con Gesù. Due di essi si propongono loro per la
sequela. Un terzo viene chiamato direttamente da Cristo Signore. Il primo si
presenta con idee chiare sulla sequela: "Ti seguirò dovunque tu
vada". Lui è disposto a seguire il Maestro. Non conosce però come vive il
Maestro. Lui è interamente dipendente dal Padre. Niente viene dal suo cuore,
niente dalla sua volontà, niente dalle esigenze del suo corpo, niente dai suoi
desideri, niente dalla sua fatica, niente dalla sua stanchezza. Il Padre è il
suo Signore in tutto, sempre, in ogni momento. Lui ha un solo nutrimento da
prendere: "Mio cibo è fare la volontà del Padre e compiere le sue
opere". Lui è infinitamente meno che gli uccelli del cielo e delle volpi.
Questi hanno una certa sicurezza umana, un nido e una tana. Lui non sa dove
posare il capo. Sicurezza del missionario è il Padre. È Lui il suo presente e
il suo futuro. Può seguire Gesù chi sceglie il Padre come suo presente e suo
futuro, come il suo tutto.
Il secondo è Gesù stesso che lo invita alla sequela. Costui ha però una
esigenza familiare. Non può consegnarsi a Gesù per ora perché deve attendere
che il padre prima muoia. Poi potrà seguire Gesù. Prima gli obblighi familiari
e poi il servizio al Vangelo. Gesù ribalta le priorità. Il servizio al Vangelo è
il primo obbligo. Tutti possono dare sepoltura ad un morto. Pochi invece
possono portare in vita un uomo. Pochi lo potranno far risorge alla vita
divina. L'annunzio del Vangelo non deve soggiacere a nessuna esigenza della
terra. Per un chiamato da Gesù Signore il dono del Vangelo agli uomini è tutto.
Altro non deve esistere. Niente è obbligo per lui. Anche questa libertà Gesù
chiede ai suoi discepoli.
Il terzo, come il primo, è lui che si propone a Gesù. Vuole seguire, ma prima
vi è una convenienza umana da rispettare. Lui si deve congedare da quelli di
casa sua. Anche in questo altro caso Gesù è fermo, risoluto, chiaro. Non si
deve perdere tempo nelle convenienze umane, che spesso sono infinite. Ne spunta
una al giorno. Mai potrà essere a servizio del Vangelo chi insegue queste cose.
La libertà del missionario deve essere piena, da tutto, da tutti, per il
presente e per il futuro. Per lui deve esistere solo il Vangelo. Altre cose rallentano,
ostacolano, impediscono il cammino della Parola. Privano l'uomo della cosa
essenziale. Gli negano la vera salvezza.
Chi ha deciso di andare dietro Gesù mai dovrà inseguire se stesso. Mai cullare
sogni e aspirazioni. Mai coltivare interessi personali. Mai cercare un qualche
successo umano. Mai aspirare ad una gloria terrena. Mai fomentare intrallazzi
per avere questo o quell'altro posto, questa o quell'altra carica. Lui
appartiene al Vangelo, non più a se stesso. Lui è della Parola e di nessun
altro. Lui è di Dio, non più del padre e della madre. Lui si è spogliato di se
stesso, per rivestirsi di sola divina volontà.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a servire il
Vangelo.
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Martedì Della XXVI
Settimana del Tempo Ordinario Anno C
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 9,51-56)
Gesù si incammina verso Gerusalemme e manda messaggeri davanti a sé.
Ma essi non vollero riceverlo.
***
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 9,51-56)
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù
prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò
messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per
preparargli l'ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente
in cammino verso Gerusalemme.
Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che
diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò.
E si misero in cammino verso un altro villaggio. Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Cattiva accoglienza di un villaggio di SamariaGesù sta per iniziare il suo ultimo viaggio verso Gerusalemme. La meta ultima che l'attende è però il monte calvario dove consumerà il suo sacrificio. Passando di villeggio in villaggio egli continua la sua missione di annunciare il Regno di Dio e di invitare tutti alla conversione. Lo precedono i suoi discepoli, inviati appositamente per preparare gli abitanti alla sua venuta. C'è un rifiuto e segue l'ira e l'indignazione degli Apostoli. I più zelanti invocano un immediato castigo dal cielo: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Gesù li rimprovera. È falso il loro zelo. La vendetta non ci appartiene. Lo stesso Dio si autodefinisce «Lento all'ira e grande nell'amore». La stessa persona di Gesù incarna il perdono e la misericordia. Quando in noi esplode l'ira, è ancora quel maledetto orgoglio che interviene minaccioso. A pensare che se il nostro Dio non fosse il Dio della misericordia e del perdono, tutti saremmo periti miseramente dopo il primo peccato. Gli Apostoli erano testimoni oculari degli atteggiamenti che Gesù praticava nei confronti dei peccatori: avevano assistito alla conversione di Zaccheo, di Levi il pubblicano. Avevano visto il loro maestro lasciarsi toccare non solo dai lebbrosi, ma perfino da una prostituta. Alcuni si scandalizzavano di ciò, ma i più ne restavano edificati. Dovranno però verificarsi alcuni eventi decisivi perché tutto possa apparire chiaro: la croce, la risurrezione e la pentecoste. Occorre lo Spirito Santo per comprendere al meglio che il Signore e «il mio Dio, il Dio della mia misericordia», come canta il Salmista.
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Lunedì
Della XXVI Settimana del Tempo Ordinario Anno C
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,46-50)
Nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande.
Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande.
***
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,46-50)
Nacque una discussione tra i discepoli,
chi di loro fosse più grande.
Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo
mise vicino e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie
me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più
piccolo fra tutti voi, questi è grande».
Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava
demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con
noi». Ma Gesù gli rispose: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è
per voi». Parola del Signore.
RRIFLESSIOONI
Chi di loro fosse più
grande.
La grandezza o è in tutto simile a quella di Dio o è falsa grandezza.
Quella di Dio è una grandezza di purissimo amore. In Cristo questa grandezza si
fa annullamento di sé fino a lasciarsi consumare sul legno della Croce come
vero olocausto d'amore. È questa grandezza che San Paolo insegna sia ai Corinzi
che ai Filippesi. Altre non esistono.
Desiderate invece intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via
più sublime. Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi
la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se
avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la
conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi
la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e
consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi
servirebbe. La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non
si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio
interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode
dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto
spera, tutto sopporta (1Cor 12m11-13,7).
Se dunque c'è qualche consolazione in Cristo, se c'è qualche conforto, frutto
della carità, se c'è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di
amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e
con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità
o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri
superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello
degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur
essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio,
ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli
uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi
obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e
gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni
ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua
proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre (Fil 1,1-11).
Chi vuole essere vero discepolo di Gesù deve essere il primo nella carità. Gesù
è saggio, divinamente saggio. Papa può essere uno solo nella Chiesa. Uno è
anche il Vescovo in una Diocesi e uno il Parroco in una Parrocchia. Tutti
invece possono avere il primo posto nella carità nella Chiesa universale, nella
Diocesi, nella Parrocchia. Anzi tutti sono chiamati a manifestare la stessa
grandezza di Dio e di Cristo Signore. Tutti sono invitati a prendere il loro
posto nella storia. Ministri possono essere solo alcuni. Crocifissi per amore
invece possono esserlo tutti. Questa è la bellezza della fede cristiana. Se
tutti ambissero la Croce di Cristo, il suo olocausto l'amore di Gesù
riempirebbe l'universo. Il nostro primo posto è la Croce. Questo è il posto di
Dio.
Nel regno dei cieli si diviene grandi, facendosi piccoli. Ma cosa vuol dire
esattamente farsi piccoli? Significa dipendere sempre dalla grazia e dalla
verità del Padre. Diviene piccolo chi si spoglia della sua volontà, dei suoi
desideri, di ogni sua ambizione, superbia, ricerca di posti da occupare, di
troni sui quali innalzarsi, e prende la croce della più pura obbedienza ad ogni
desiderio del Padre celeste. Piccolo è colui che ogni giorno è fatto dal suo
Dio, perché si pone interamente nelle sue mani. È una piccolezza sempre nuova,
sempre aggiornata, mai di ieri. Per questa piccolezza Dio può ogni giorno
manifestare tutta la sua grandezza nell'amore. Più il discepolo di Gesù si fa
piccolo e più diviene grande. Dio manifesta attraverso di Lui le profondità
della carità.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci piccoli per Gesù.
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XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 16,19-31)
Il Ricco Epulone.
Tra noi e voi vi
è un grande abisso.
***
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 16,19-31)
Gesù disse ai farisei:
«C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino
finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome
Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi
con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che
venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo.
Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti,
alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora
gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a
intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché
soffro terribilmente in questa fiamma".
Ma Abramo rispose: "Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i
tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è
consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi
è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da
voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi".
E quello replicò: "Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di
mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché
non vengano anch'essi in questo luogo di tormento". Ma Abramo rispose:
"Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". E lui replicò: "No, padre
Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno".
Abramo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi
neanche se uno risorgesse dai morti"».Parola del Signore.
RIFLESSIONI
L'evangelista Luca ci parla oggi di una persona di nome Lazzaro.
Chi si ricorda di quando abbiamo incontrato, sempre nel Vangelo, un altro Lazzaro?
Bravi! Lazzaro era il fratello di Marta e Maria: era quell'uomo che era
morto e che già da tre giorni era nel sepolcro, era colui per il quale
il Signore ha pianto, era quell'uomo che il Signore fece tornare in
vita.
Era un amico di Gesù.
Il povero che troviamo oggi nel Vangelo si chiama proprio così.
Gli evangelisti non usano mai nomi propri nelle parabole... solo qui succede.
Questo per dire che ogni povero è un amico di Dio.
"Ma come"- potreste dire voi- "ed i ricchi non sono amici Suoi?".
Certo che sì!
Dio è amico di ognuno di noi, ci ama tutti allo stesso modo perché siamo
suoi figli e, proprio perché tali, desidera che viviamo come Lui: con
amore gli uni nei confronti degli altri.
Allora, i ricchi sono veri amici di Gesù quando amano condividendo quello che hanno con chi non ha.
Ora vi domando: il ricco festaiolo e mangione del Vangelo, con vestiti
di porpora e lino finissimo, è una persona particolarmente malvagia? E'
cattivo? Fa del male a qualcuno?
Offende? Prende in giro?
Niente di tutto questo.
Forse era anche un uomo religioso, forse pregava e si recava al Tempio a
fare i sacrifici e forse dava anche grosse offerte ai sacerdoti...
Ma questo ricco ha il cuore ammalato perché è troppo attaccato al modo
di vivere del mondo. Inoltre, mentre il povero ha un nome, lui non ce
l'ha e questo perché coloro che sono solo "del mondo" perdono il nome.
Sono soltanto uno dei tanti benestanti che non hanno bisogno di niente.
Sono appunto del mondo, non sono di Dio, per cui non hanno bisogno di
Lui.
E allora qual è il suo peccato?
L'indifferenza. Questo ricco non si accorge nemmeno che alla sua porta
c'è il povero Lazzaro, un mendicante affamato e pieno di piaghe. Non lo
vede proprio... e non perché è cieco ma perché ha un cuore chiuso, un
cuore che pensa solo a se stesso e ai propri comodi. Per lui, gli altri
non esistono.
E pensare che ogni giorno passa davanti a Lazzaro uscendo di casa...
chissà quante volte l'ha guardato o lo ha anche sfiorato con i piedi...
ma non l'ha mai visto.
Vi capita mai di andare a fare qualche gita in posti bellissimi e poi, una volta a casa, di ricordare poco o niente?
Se sì, è perché guardate ma non vedete quello che guardate.
Potrebbe essere perché pensate ai fatti vostri, o perché non vi
interessa, o perché con un occhio guardate il panorama e con l'altro il
cellulare...
Il "guardare", cioè, è molto diverso dal "vedere".
Così faceva il ricco del Vangelo. Guardava Lazzaro ma non lo vedeva perché era concentrato solo su se stesso.
Non gli faceva del male, ma nemmeno faceva niente per lui.
Il male più grande che noi possiamo fare è quello di non fare il bene.
Quando succede questo è come trovarsi davanti ad un abisso, proprio come ci viene descritto nel Vangelo: "Coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi".
Quando non facciamo il bene non possiamo stare dalla parte di Abramo e Lazzaro perché c'è questo abisso che ci divide.
L'abisso, lo sappiamo tutti, è un burrone. Sono certa che ognuno di voi,
facendo qualche camminata in montagna, ci si è trovato davanti. E' una
sensazione molto brutta perché ci si rende conto che non si può andare
oltre e che, se si cade dentro, si può anche morire.
Ecco. La vita di questo ricco è un abisso, una morte sicura perché
questo burrone è nel suo cuore, nelle sue preoccupazioni, nei suoi
desideri egoistici che non gli permettono di fare quel lungo passo per
superare questo baratro ed andare incontro a chi ha bisogno.
«Qualsiasi cosa avete fatto a uno di questi piccoli l'avete fatto a me!»: questo ci dice Gesù e questo è il lungo passo che ci permette di andare dalla parte di Abramo e Lazzaro.
"Ma io sono abbastanza buono... vado a Messa tutte le domeniche, metto sempre dei soldi nel cestino dell'elemosina in chiesa!
Inoltre cerco di non litigare più di tanto con i miei colleghi
antipatici, cerco di non prendere in giro... Ce ne sono così tanti peggiori di me!".
Qualcuno di voi, in questo momento, potrebbe pensare così.
Potrebbero anche essere pensieri accettabili...
Ma questo, è proprio tutto quello che possiamo fare oppure il Signore ci chiede qualcosa di più?
Sappiamo bene, prima di "fare" dobbiamo "essere", ed è questo che ci
distingue come cristiani: tutti noi amici di Gesù, infatti, siamo
chiamati a «vedere, capire, prenderci a cuore» gli altri, ad avere cioè «compassione».
Che non è dire: "poveretto quanta pena mi fa!", ma è sentire, nei
confronti dei nostri amici e anche nemici... lo stesso amore, lo stesso
dolore, la stessa gioia che Dio prova per noi.
Se noi riuscissimo a provare gli stessi sentimenti di Dio, il mondo cambierebbe.
Quando impareremo ad "essere", allora sì che potremo "fare", e il Signore ci sarà a fianco in questo cammino.
Allora riusciremo sicuramente ad aprire gli occhi e "vedere" tutti i
Lazzaro che stanno davanti alla nostra porta: riusciremo cioè a
condividere.
In questa parabola l'uomo ricco, quando muore, si ritrova tra i tormenti
negli inferi e chiede ad Abramo di inviare qualcuno dai morti ad
ammonire i familiari ancora in vita. Ma Abramo risponde che se non
ascoltano Mosè e i Profeti non saranno persuasi neanche se uno
risorgesse dai morti.
Abramo è la figura di Dio, il Padre.
E come risponde Abramo?
«Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali».
Con quale parola Abramo inizia a parlare al ricco? Con la parola "Figlio".
Fino alla fine, cioè fino all'ultimo momento, c'è la sicurezza che abbiamo un Padre che ci aspetta.
Affidiamoci allora a Dio Padre, con la certezza che ci vuole tutti con sé in Paradiso.
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