I SANTI APRILE
Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" (Atti 2,42)
I SANTI APRILE
2 Aprile San
Francesco da Paola Eremita e fondatore
Paola, Cosenza, 27 marzo 1416 - Plessis-les-Tours, Francia, 2 aprile 1507
***
La sua vita fu avvolta in un'aura di soprannaturale dalla nascita alla
morte.
Nacque a Paola (Cosenza) nel 1416 da genitori in età avanzata devoti di
san Francesco, che proprio all'intercessione del santo di Assisi attribuirono
la nascita del loro bambino. Di qui il nome e la decisione di indirizzarlo alla
vita religiosa nell'ordine francescano. Dopo un anno di prova, tuttavia, il
giovane lasciò il convento e proseguì la sua ricerca vocazionale con viaggi e
pellegrinaggi. Scelse infine la vita eremitica e si ritirò a Paola in un
territorio di proprietà della famiglia. Qui si dedicò alla contemplazione e
alle mortificazioni corporali, suscitando stupore e ammirazione tra i
concittadini. Ben presto iniziarono ad affluire al suo eremo molte persone desiderose
di porsi sotto la sua guida spirituale. Seguirono la fondazione di numerosi
eremi e la nascita della congregazione eremitica paolana detta anche Ordine dei
Minimi. La sua approvazione fu agevolata dalla grande fama di taumaturgo di
Francesco che operava prodigi a favore di tutti, in particolare dei poveri e
degli oppressi. Lo stupore per i miracoli giunse fino in Francia, alla corte di
Luigi XI, allora infermo. Il re chiese al papa Sisto IV di far arrivare
l'eremita paolano al suo capezzale. L'obbedienza prestata dal solitario
costretto ad abbandonare l'eremo per trasferirsi a corte fu gravosa ma feconda.
Luigi XI non ottenne la guarigione, Francesco fu tuttavia ben voluto ed avviò
un periodo di rapporti favorevoli tra il papato e la corte francese. Nei 25
anni che restò in Francia egli rimase un uomo di Dio, un riformatore della vita
religiosa. Morì nei pressi di Tours il 2 aprile 1507.
San Francesco da Paola, eremita: fondò l'Ordine dei Minimi in Calabria,
prescrivendo ai suoi discepoli di vivere di elemosine, senza possedere nulla di
proprio né mai toccare denaro, e di mangiare sempre soltanto cibi quaresimali;
chiamato in Francia dal re Luigi XI, gli fu vicino nel momento della morte;
morì a Plessy presso Tours, celebre per la sua austerità di vita.
La sua vita fu uno stupore continuo sin dalla nascita,
infatti Francesco nacque il 27 marzo 1416 da una coppia di genitori già avanti
negli anni, il padre Giacomo Alessio detto "Martolilla" e la madre Vienna di
Fuscaldo, durante i quindici anni di matrimonio già trascorsi, avevano atteso
invano la nascita di un figlio, per questo pregavano s. Francesco, il
'Poverello' di Assisi, di intercedere per loro e inaspettatamente alla fine il
figlio arrivò.
Riconoscenti i giubilanti genitori lo chiamarono Francesco; il santo di Assisi
intervenne ancora nella vita di quel bimbo nato a Paola, cittadina calabrese
sul Mar Tirreno in provincia di Cosenza; dopo appena un mese si scoprì che era
affetto da un ascesso all'occhio sinistro che si estese fino alla cornea, i
medici disperavano di salvare l'occhio.
La madre fece un voto a s. Francesco, di tenere il figlio in un convento di
Frati Minori per un intero anno, vestendolo dell'abito proprio dei Francescani,
il voto dell'abito è usanza ancora esistente nell'Italia Meridionale. Dopo
qualche giorno l'ascesso scomparve completamente.
Fu allevato senza agi, ma non mancò mai il necessario; imparò a leggere e
scrivere verso i 13 anni, quando i genitori volendo esaudire il voto fatto a s.
Francesco, lo portarono al convento dei Francescani di San Marco Argentano, a
nord di Cosenza.
In quell'anno l'adolescente rivelò subito doti eccezionali, stupiva i frati
dormendo per terra, con continui digiuni e preghiera intensa e già si cominciava
a raccontare di prodigi straordinari, come quando assorto in preghiera in
chiesa, si era dimenticato di accendere il fuoco sotto la pentola dei legumi
per il pranzo dei frati, allora tutto confuso corse in cucina, dove con un
segno di croce accese il fuoco di legna e dopo pochi istanti i legumi furono
subito cotti.
Un'altra volta dimenticò di mettere le carbonelle accese nel turibolo
dell'incenso, alle rimostranze del sacrestano andò a prenderle ma senza un
recipiente adatto, allora le depose nel lembo della tonaca senza che la stoffa
si bruciasse.
Trascorso l'anno del voto, Francesco volle tornare a Paola fra il dispiacere
dei frati e d'accordo con i genitori intrapresero insieme un pellegrinaggio ad
Assisi alla tomba di s. Francesco, era convinto che quel viaggio gli avrebbe
permesso d'individuare la strada da seguire nel futuro.
Fecero tappe a Loreto, Montecassino, Monteluco e Roma, nella 'Città eterna'
mentre camminava per una strada, incrociò una sfarzosa carrozza che trasportava
un cardinale pomposamente vestito, il giovanetto non esitò e avvicinatosi
rimproverò il cardinale dello sfarzo ostentato; il porporato stupito cercò di
spiegare che era necessario per conservare la stima e il prestigio della Chiesa
agli occhi degli uomini.
Nella tappa di Monteluco, Francesco poté conoscere in quell'eremo fondato nel
528 da s. Isacco, un monaco siriano fuggito in Occidente, gli eremiti che
occupavano le celle sparse per la montagna; fu molto colpito dal loro stile di
vita, al punto che tornato a Paola, appena tredicenne e in netta opposizione al
dire del cardinale romano, si ritirò a vita eremitica in un campo che
apparteneva al padre, a quasi un chilometro dal paese, era il 1429.
Si riparò prima in una capanna di frasche e poi spostandosi in altro luogo in una
grotta, che egli stesso allargò scavando il tufo con una zappa; detta grotta è
oggi conservata all'interno del Santuario di Paola; in questo luogo visse altri
cinque anni in penitenza e contemplazione.
La fama del giovane eremita si sparse nella zona e tanti cominciarono a
raggiungerlo per chiedere consigli e conforto; lo spazio era poco per questo
via vai, per cui Francesco si spostò di nuovo più a valle costruendo una cella
su un terreno del padre; dopo poco tempo alcuni giovani dopo più visite, gli chiesero
di poter vivere come lui nella preghiera e solitudine.
Così nel 1436, con una cappella e tre celle, si costituì il primo nucleo del
futuro Ordine dei Minimi; la piccola Comunità si chiamò "Eremiti di frate
Francesco".
Prima di accoglierli, Francesco chiese il permesso al suo vescovo di Cosenza
mons. Bernardino Caracciolo, il quale avendo conosciuto il carisma del giovane
eremita acconsentì; per qualche anno il gruppo visse alimentandosi con un cibo
di tipo quaresimale, pane, legumi, erbe e qualche pesce, offerti come elemosine
dai fedeli; non erano ancora una vera comunità ma pregavano insieme nella
cappella a determinate ore.
Fu in seguito necessario allargare gli edifici e nel 1452 Francesco cominciò a
costruire la seconda chiesa e un piccolo convento intorno ad un chiostro,
tuttora conservati nel complesso del Santuario.
Durante i lavori di costruzione Francesco operò altri prodigi, un grosso masso
che stava rotolando sugli edifici venne fermato con un gesto del santo e ancora
oggi esiste sotto la strada del Santuario; entrò nella fornace per la calce a
ripararne il tetto, passando fra le fiamme e rimanendo illeso; inoltre fece
sgorgare una fonte con un tocco del bastone, per dissetare gli operai, oggi è
chiamata "l'acqua della cucchiarella", perché i pellegrini usano attingerne con
un cucchiaio.
Ormai la fama di taumaturgo si estendeva sempre più e il papa Paolo II
(1464-1471), inviò nel 1470 un prelato a verificare; giunto a Paola fu accolto
da Francesco che aveva fatto portare un braciere per scaldare l'ambiente; il
prelato lo rimproverò per l'eccessivo rigore che professava insieme ai suoi
seguaci e allora Francesco prese dal braciere con le mani nude, i carboni
accesi senza scottarsi, volendo così significare se con l'aiuto di Dio si
poteva fare ciò, tanto più si poteva accettare il rigore di vita.
La morte improvvisa del papa nel 1471, impedì il riconoscimento pontificio
della Comunità, che intanto era stata approvata dal vescovo di Cosenza Pirro
Caracciolo; il consenso pontificio arrivò comunque tre anni più tardi ad opera
del nuovo papa Sisto IV (1471-1484).
Secondo la tradizione, uno Spirito celeste, forse l'arcangelo Michele, gli
apparve mentre pregava, tenendo fra le mani uno scudo luminoso su cui si
leggeva la parola "Charitas" e porgendoglielo disse: "Questo sarà lo stemma del
tuo Ordine".
La fama di questo monaco dalla grossa corporatura, con barba e capelli lunghi
che non tagliava mai, si diffondeva in tutto il Sud, per cui fu costretto a
muoversi da Paola per fondare altri conventi in varie località della Calabria.
Gli fu chiesto di avviare una comunità anche a Milazzo in Sicilia, pertanto con
due confratelli si accinse ad attraversare lo Stretto di Messina, qui chiese ad
un pescatore se per amor di Dio l'avesse traghettato all'altra sponda, ma
questi rifiutò visto che non potevano pagarlo; senza scomporsi Francesco legò
un bordo del mantello al bastone, vi salì sopra con i due frati e attraversò lo
Stretto con quella barca a vela improvvisata.
Il miracolo fra i più clamorosi di quelli operati da Francesco, fu in seguito
confermato da testimoni oculari, compreso il pescatore Pietro Colosa di Catona,
piccolo porto della costa calabra, che si rammaricava e non si dava pace per il
suo rifiuto.
Risanava gli infermi, aiutava i bisognosi, 'risuscitò' il suo nipote Nicola,
giovane figlio della sorella Brigida, anche suo padre Giacomo Alessio, rimasto
vedovo entrò a far parte degli eremiti, diventando discepolo di suo figlio fino
alla morte.
Francesco alzava spesso la voce contro i potenti in favore degli oppressi, le
sue prediche e invettive erano violente, per cui fu ritenuto pericoloso e
sovversivo dal re di Napoli Ferdinando I (detto Ferrante) d'Aragona, che mandò
i suoi soldati per farlo zittire, ma essi non poterono fare niente, perché il santo
eremita si rendeva invisibile ai loro occhi; il re alla fine si calmò, diede
disposizione che Francesco poteva aprire quanti conventi volesse, anzi lo
invitò ad aprirne uno a Napoli (un'altro era stato già aperto nel 1480 a
Castellammare di Stabia.
A Napoli giunsero due fraticelli che si sistemarono in una cappella campestre,
là dove poi nel 1846 venne costruita la grande, scenografica, reale Basilica di
S. Francesco da Paola, nella celebre Piazza del Plebiscito.
Intanto si approssimava una grande, imprevista, né desiderata svolta della sua
vita; nel 1482 un mercante italiano, di passaggio a Plessis-les-Tours in
Francia, dove risiedeva in quel periodo il re Luigi XI (1423-1482), gravemente
ammalato, ne parlò ad uno scudiero reale, che informò il sovrano.
Il re inviò subito un suo maggiordomo in Calabria ad invitare il santo eremita,
affinché si recasse in Francia per aiutarlo, ma Francesco rifiutò, nonostante
che anche il re di Napoli Ferrante appoggiasse la richiesta.
Allora il re francese si rivolse al papa Sisto IV, il quale per motivi politici
ed economici, non voleva scontentare il sovrano e allora ordinò all'eremita di
partire per la Francia, con grande sgomento e dolore di Francesco, costretto a
lasciare la sua terra e i suoi eremiti ad un'età avanzata, aveva 67 anni e
malandato in salute.
Nella sua tappa a Napoli, fu ricevuto con tutti gli onori da re Ferrante I,
incuriosito di conoscere quel frate che aveva osato opporsi a lui; il sovrano
assisté non visto ad una levitazione da terra di Francesco, assorto in
preghiera nella sua stanza; poi cercò di conquistarne l'amicizia offrendogli un
piatto di monete d'oro, da utilizzare per la costruzione di un convento a
Napoli.
Si narra che Francesco presone una la spezzò e ne uscì del sangue e rivolto al
re disse: "Sire questo è il sangue dei tuoi sudditi che opprimi e che grida
vendetta al cospetto di Dio", predicendogli anche la fine della monarchia
aragonese, che avvenne puntualmente nei primi anni del 1500.
Sempre vestito del suo consunto saio e con in mano il rustico bastone, fu
ripreso di nascosto da un pittore, incaricato dal re di fargli un ritratto, che
è conservato nella Chiesa dell'Annunziata a Napoli, mentre una copia è nella
Chiesa di S. Francesco da Paola ai Monti in Roma; si ritiene che sia il dipinto
più somigliante quando Francesco aveva 67 anni.
Passando per Roma andò a visitare il pontefice Sisto IV (1471-1484), che lo
accolse cordialmente; nel maggio 1489 arrivò al castello di Plessis-du-Parc,
dov'era ammalato il re Luigi XI, nel suo passaggio in terra francese liberò
Bormes e Frejus da un'epidemia.
A Corte fu accolto con grande rispetto, col re ebbe numerosi colloqui, per lo
più miranti a far accettare al sovrano l'ineluttabilità della condizione umana,
uguale per tutti e per quante insistenze facesse il re di fare qualcosa per
guarirlo, Francesco rimase coerentemente sulla sua posizione, giungendo alla
fine a convincerlo ad accettare la morte imminente, che avvenne nel 1482, dopo
aver risolto le divergenze in corso con la Chiesa.
Dopo la morte di Luigi XI, il frate che viveva in una misera cella, chiese di
poter ritornare in Calabria, ma la reggente Anna di Beaujeu e poi anche il re
Carlo VIII (1470-1498) si opposero; considerandolo loro consigliere e direttore
spirituale.
Giocoforza dovette accettare quest'ultimo sacrificio di vivere il resto della
sua vita in Francia, qui promosse la diffusione del suo Ordine, perfezionò la
Regola dei suoi frati "Minimi", approvata definitivamente nel 1496 da papa
Alessandro VI, fondò il Secondo Ordine e il Terzo riservato ai laici, iniziò la
devozione dei Tredici Venerdì consecutivi.
Francesco morì il 2 aprile 1507 a Plessis-les-Tours, vicino Tours dove fu
sepolto, era un Venerdì Santo ed aveva 91 anni e sei giorni.
Già sei anni dopo papa Leone X nel 1513 lo proclamò beato e nel 1519 lo
canonizzò; la sua tomba diventò meta di pellegrinaggi, finché nel 1562 fu
profanata dagli Ugonotti che bruciarono il corpo; rimasero solo le ceneri e
qualche pezzo d'osso.
Queste reliquie subirono oltraggi anche durante la Rivoluzione Francese; nel
1803 fu ripristinato il culto. Dopo altre ripartizioni in varie chiese e
conventi, esse furono riunite e dal 1935 e 1955 si trovano nel Santuario di
Paola; dopo quasi cinque secoli il santo eremita ritornò nella sua Calabria di
cui è patrono, come lo è di Paola e Cosenza.
Nel 1943 papa Pio XII, in memoria della traversata dello Stretto, lo nominò
protettore della gente di mare italiana. Quasi subito dopo la sua
canonizzazione, furono erette in suo onore basiliche reali a Parigi, Torino,
Palermo e Napoli e il suo culto si diffuse rapidamente nell'Italia Meridionale,
ne è testimonianza l'afflusso continuo di pellegrini al suo Santuario, eretto
fra i monti della costa calabra che sovrastano Paola, sui primi angusti e
suggestivi ambienti in cui visse e dove si sviluppò il suo Ordine dei 'Minimi'.
I SANTI APRILE
25 aprile San Marco Evangelista
Vergine, scrittore e martire
***
S. Marco fu eletto da Dio ad essere il portavoce dello Spirito Santo, scrivendo la vita e la dottrina di N. S. Gesù Cristo nel Vangelo che porta il suo nome.Nacque a Cirene ed era cugino di S. Barnaba: sua madre si chiamava Maria. Rimase ubbidiente alla legge di Mosè fino dopo la risurrezione di Gesù, quando fu da S. Pietro convertito alla fede cristiana, istruito e creato sacro ministro.Dalla sua conversione in poi non si staccò più dal Principe degli Apostoli, da cui era amato qual tenero figliuolo, come lo chiamò in una sua lettera: « Vi saluta anche Marco, mio figlio ». S. Marco era il segretario, l'interprete di S. Pietro. Il suo Vangelo, come dicono i Ss. Padri, non è altro che la predicazione di S. Pietro fissata sulla carta. Accompagnò l'Apostolo nei suoi viaggi a Roma, ove appunto scrisse il suo Vangelo in lingua greca, la più parlata in quei tempi. Lo scopo del Vangelo secondo S. Marco è di dimostrare la potenza di Gesù Cristo, Figlio di Dio, che si manifesta nell'operare molti e grandi miracoli.Simbolo del suo Vangelo è il leone, il re degli animali, che molto bene rappresenta la potenza di Gesù Cristo.Scrisse il suo Vangelo tra l'anno 40 e 60, dopo quello di S. Matteo, e prima di quello di S. Luca, come ci assicura la tradizione. Incomincia con un preambolo, quindi parla della divina missione di Gesù in Galilea, poi delle varie escursioni apostoliche in altre parti della Palestina, e termina col descrivere l'ultimo viaggio a Gerusalemme, l'ultima Pasqua, le sofferenze, la morte, la risurrezione e la gloria di Gesù Cristo.Nessuno tra i fedeli poteva possedere le divine verità meglio di S. Marco, il quale continuamente le apprendeva dalle labbra del Principe degli Apostoli.Ordinato vescovo, fu mandato da S. Pietro in Egitto a predicare il santo Vangelo. Confermando la sua predicazione con l'esempio d'una vita santa e penitente, con innumerevoli prodigi, aiutato dalla divina grazia fondò in Alessadria una fiorente comunità la quale divenne la celebre Chiesa Alessandrina, che ci diede un S. Chino, un S. Antonio, una S. Caterina e tanti altri servi del Signore.Dopo una vita di travagli, tutta spesa a gloria di Dio e al bene delle anime, subì un martirio lungo e crudele. Fu legato ad una fune e trainato da un cavallo per luoghi sassosi e scoscesi, finchè il 25 aprile dell'anno 68 l'anima sua entrò nella gloria colla triplice aureola del vergine, dello scrittore e del martire.Le sue reliquie furono trasportate a Venezia, e riposte nella basilica di S. Marco, ove sono oggetto di grande venerazione.
PRATICA. S. Marco ci offre il S. Vangelo: leggiamolo, e impareremo a conoscere Gesù, ad amarlo e a seguirlo.
PREGHIERA. O Dio, che hai nobilitato il beato Marco mediante la grazia della predicazione evangelica, dehl concedici di approfittare sempre del suo insegnamento e di essere difesi dalla sua predicazione.
I SANTI APRILE
28 Aprile San Luigi
Maria Grignion da Montfort Sacerdote
Montfor, Rennes, Francia, 1673 - St. Laurent-sur-Sèvre, Francia, 28 aprile 1716
***
Luigi Maria percorse le regioni occidentali della Francia predicando il mistero della Sapienza eterna, Cristo incarnato e crocifisso, predicò e scrisse sulla croce di Cristo e sulla vera devozione a Maria Vergine e ricondusse molti a una vita di penitenza; nel villaggio di Saint-Laurent-sur-Sèvre in Francia insegnando ad andare a Gesù per mezzo di Maria. Associò sacerdoti e fratelli alla propria attività apostolica, e scrisse le regole dei Missionari della Compagnia di Maria. Fu proclamato santo da Pio XII il 20 luglio 1947. Tra i suoi scritti si ricordano il "Trattato della vera devozione alla Santa Vergine" e "L'amore dell'eterna Sapienza".
TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 11,25-30)
In quel tempo, Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto
queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre,
perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre
mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se
non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di
cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e
il mio peso leggero». Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Il Signore è solito servirsi di umili e deboli creature per
operare cose grandi:
si servì di Maria SS. per compiere la Redenzione, come si
servì di S. Caterina da Siena per dare la pace alla Chiesa e ai popoli del suo
tempo.Nacque Caterina nell'illustre città di Siena, focolaio di grandi santi,
nell'anno 1347.Già a sette anni la santa fanciulla manifestò una pietà non comune e una virtù
tale per cui a otto anni fece voto di verginità.Per mantenersi fedele a questa promessa restò sempre ritirata, parca nel
parlare, in continua unione col Divino Sposo mediante l'orazione e
particolarmente colla mortificazione del suo corpo ed ancor più con la
mortificazione interna.La fanciulla, fatta segno a ingiurie e villanie, rimase ferma tutto soffrendo
per Gesù e infine fu vittoriosa. I suoi genitori, scorgendo la mano di Dio che
difendeva e guidava la loro figliuola, le lasciarono piena libertà.D'allora in poi moltiplicò le sue penitenze esterne; quando però il confessore
le impose un po' di moderazione, ella sapendo essere maggiore il valore
dell'ubbidienza, subito le moderò. Fu ammessa nella Congregazione delle
Terziarie Domenicane, ove trovò modo di esercitarsi in tantissime pratiche di
mortificazione; tra le altre ammirabile fu il rigoroso silenzio che mantenne
per tre anni.Il Divin Maestro inoltre la rese degna d'imitarlo nella sua passione, facendola
oggetto di disprezzo e di accuse anche da parte di chi le doveva riconoscenza e
amore.La Santa, con eroica carità, tutto soffrì e perdonò, ricambiando gl'ingrati con
le cure più amorose.Un cuore apostolico quale quello di Caterina non si limitava alla carità
materiale; essa infatti ci lasciò i suoi scritti ascetici e le sue 300 e più
lettere, piene di santo ardore, indirizzate a Pontefici, a principi, a popoli
in discordia tra di loro.Ottenne dopo suppliche, preghiere, digiuni e colloqui, che il Papa da Avignone
ritornasse a Roma; ottenne la pace tra città nemiche, ottenne frutti
consolantissimi in tutta l'Europa.Zelo e attività ammirabili in una donna! Nella Bolla di canonizzazione si
legge: «Nessuno mai trattò con essa senza partirsene migliore di prima ».Amava di straordinario amore e devozione il Papa, e lo chiamava il « dolce
Cristo in terra ».Il Maestro Divino, dopo averla favorita del dono celeste delle sante stimmate,
di rivelazioni e miracoli, le diede quella immarcescibile corona per cui tanto
si era affaticata, chiamandola in cielo il 29 aprile dell'anno 1380. Pio XII la
proclamò Patrona Principale d'Italia.
PRATICA.
«Ogni fedele cristiano è tenuto ad essere fedele e di servire la
Chiesa, ciascuno secondo lo stato suo» (S. Caterina). Proponiamo di conoscere
più ampiamente la vita e le gesta della Patrona della Patria, di imitarne gli
esempi, di invocarla fiduciosamente.
PREGHIERA.
Fa', te ne preghiamo, Dio onnipotente, che mentre festeggiamo la tua
beata vergine Caterina, possiamo trarre profitto dalle sue molteplici virtù.
MARTIROLOGIO ROMANO.
A Roma il natale di santa Caterina da Siena, Vergine, del
Terz'Ordine di san Domenico, illustre per la vita e pei miracoli, la quale dal
Papa Pio secondo fu ascritta nel numero delle sante Vergini. La sua festa però
si celebra nel giorno seguente.
Santa Caterina da Siena, vergine e dottore della Chiesa, che, preso l'abito delle Suore della Penitenza di San Domenico, si sforzò di conoscere Dio in se stessa e se stessa in Dio e di rendersi conforme a Cristo crocifisso; lottò con forza e senza sosta per la pace, per il ritorno del Romano Pontefice nell'Urbe e per il ripristino dell'unità della Chiesa, lasciando pure celebri scritti della sua straordinaria dottrina spirituale.
«Niuno Stato si può conservare nella legge civile in stato di grazia senza la santa giustizia»: queste alcune delle parole che hanno reso questa santa, patrona d'Italia, celebre. Nata nel 1347 Caterina non va a scuola, non ha maestri. I suoi avviano discorsi di maritaggio quando lei è sui 12 anni. E lei dice di no, sempre. E la spunta. Del resto chiede solo una stanzetta che sarà la sua ""cella"" di terziaria domenicana (o Mantellata, per l'abito bianco e il mantello nero). La stanzetta si fa cenacolo di artisti e di dotti, di religiosi, di processionisti, tutti più istruiti di lei. Li chiameranno ""Caterinati"". Lei impara a leggere e a scrivere, ma la maggior parte dei suoi messaggi è dettata. Con essi lei parla a papi e re, a donne di casa e a regine, e pure ai detenuti. Va ad Avignone, ambasciatrice dei fiorentini per una non riuscita missione di pace presso papa Gregorio XI. Ma dà al Pontefice la spinta per il ritorno a Roma, nel 1377. Deve poi recarsi a Roma, chiamata da papa Urbano VI dopo la ribellione di una parte dei cardinali che dà inizio allo scisma di Occidente. Ma qui si ammala e muore, a soli 33 anni. Sarà canonizzata nel 1461 dal papa senese Pio II. Nel 1939 Pio XII la dichiarerà patrona d'Italia con Francesco d'Assisi.
Non è nostra intenzione indugiare nel porre in rilievo come
nella vita e nell'attività esterna di Caterina le beatitudini evangeliche
abbiano avuto un modello di superlativa verità e bellezza. Tutti voi, del
resto, ricordate quanto sia stata libera nello spirito da ogni terrena
cupidigia; quanto abbia amato la verginità consacrata al celeste sposo, Cristo
Gesù; quanto sia stata affamata di giustizia e colma di viscere di misericordia
nel cercare di riportare la pace in seno alle famiglie e alle città, dilaniate
da rivalità e da odi atroci; quanto si sia prodigata per riconciliare la
repubblica di Firenze con il Sommo Pontefice Gregorio IX, fino ad esporre alla
vendetta dei ribelli la propria vita.
Caterina da Siena offre nei suoi scritti uno dei più fulgidi modelli di quei
carismi di esortazione, di parola di sapienza e di parola di scienza, che san
Paolo mostrò operanti in alcuni fedeli presso le primitive comunità cristiane. Ed
invero, quanti raggi di sovrumana sapienza, quanti urgenti richiami
all'imitazione di Cristo in tutti i misteri della sua vita e della sua
Passione, quanti efficaci ammaestramenti per la pratica delle virtù, proprie
dei vari stati di vita, sono sparsi nelle opere della Santa! Le sue Lettere
sono come altrettante scintille di un fuoco misterioso, acceso nel suo cuore
ardente dall'Amore Infinito, ch'è lo Spirito Santo. Caterina fu la mistica del
Verbo Incarnato, e soprattutto di Cristo crocifisso; essa fu l'esaltatrice
della virtù redentiva del Sangue adorabile del Figliolo di Dio, effuso sul
legno della croce con larghezza di amore per la salvezza di tutte le umane
generazioni. Questo Sangue del Salvatore, la Santa lo vede fluire continuamente
nel Sacrificio della Messa e nei Sacramenti, grazie al ministero dei sacri
ministri, a purificazione e abbellimento dell'intero Corpo mistico di Cristo.
Caterina perciò potremmo dirla la "mistica del Corpo mistico" di Cristo, cioè
della Chiesa.
D'altra parte la Chiesa è per lei autentica madre, a cui è doveroso
sottomettersi, prestare riverenza ed assistenza. Quale non fu perciò l'ossequio
e l'amore appassionato che la Santa nutrì per il Romano Pontefice! Ella
contempla in lui "il dolce Cristo in terra", a cui si deve filiale affetto e obbedienza.
Il messaggio di una fede purissima, di un amore ardente, di una dedizione umile
e generosa alla Chiesa, quale Corpo mistico e Sposa del Redentore divino:
questo è il messaggio tipico di santa Caterina.