I SANTI OTTOBRE
"Nessun maestro spirituale verrà a salvarti
Fino a quando non comprenderai che il cambiamento deve avvenire dentro di te."
Una ragazza morta a ventiquattro anni diventa dopo neppure
cinquant'anni modello di tutta la Chiesa.
Pio XI era molto devoto di santa
Teresa di Gesù Bambino e la nominò patrona delle Missioni, lei, la cui breve
vita si svolse tutta fra Alenon e Lisieux e che dopo i suoi quindici anni non
usci più dal convento.
Quanto spesso Gesù dimostra che i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri,
né le sue vie le nostre vie I nostri pensieri vengono dall'orgoglio, quelli di
Dio dall'umiltà; le nostre vie sono tutte uno sforzo per essere grandi, quelle
di Dio si percorrono solo diventando piccoli. Come sulle strade per andare a
Nord bisogna prendere la direzione opposta al Sud, così per camminare sulle vie
di Dio dobbiamo prendere la direzione opposta a quella verso cui il nostro
orgoglio ci spinge.
Teresa aveva grandi ambizioni, grandi aspirazioni: voleva essere contemplativa
e attiva, apostolo, dottore, missionario e martire, e scrive che una sola forma
di martirio le sembrava poco e le desiderava tutte... il Signore le fece capire
che c'è una sola strada per piacergli: farsi umili e piccoli, amarlo con la
semplicità, la fiducia e l'abbandono di un bimbo verso il padre da cui si sa
amato. "Non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io
sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre". ~
bellissimo salmo 130 può essere applicato alla lettera alla vita di Teresa.
Così questa giovanissima donna ravvivò nella Chiesa il più puro spirito
evangelico ricordando una verità essenziale: prima di dare a Dio è necessario
ricevere. Noi abbiamo la tendenza a guardare sempre a quello che diamo; Teresa
ha capito che Dio è amore sempre pronto a dare e che tutto riceviamo da lui.
Chi vuol mettere la propria generosità prima della misericordia, prima
dell'amore misericordioso di Dio, è un superbo; chi riceve quello che Dio gli
dà con la semplicità di un bambino arriva alla santità: è contento di non saper
far nulla e riceve tutto da Dio. È un atteggiamento spirituale che è anch'esso
dono di Dio ed è tutt'altro che passività. Teresa fece di sé un'offerta eroica
e visse nella malattia e nella prova di spirito con l'energia e la forza di un
gigante: la forza di Dio si manifestava nella sua debolezza, che ella
abbandonava fiduciosamente nelle mani divine. Riuscì così in modo meraviglioso
a trasformare la croce in amore, una croce pesante, se ella stessa dirà alla
fine della sua vita che non credeva fosse possibile soffrire tanto.
Impariamo questa grande lezione di fiducia, di piccolezza, di gioia e preghiamo
Teresa che ci aiuti a camminare come lei nella povertà di spirito e nell'umiltà
del cuore. Saremo come lei inondati da un fiume di pace.
San Francesco ha
veramente realizzato il Vangelo che la liturgia ci fa proclamare nella
sua festa: ha ricevuto la rivelazione di Gesù con il cuore semplice di
un bambino, prendendo alla lettera tutte le parole di Gesù. Ascoltando
il passo evangelico nel quale Gesù invia i suoi discepoli ad annunciare
il regno, ha sentite rivolte a sé quelle parole, che diventarono la
regola della sua vita. Ed anche a quelli che lo seguirono egli non
voleva dare altra regola se non le parole del Vangelo, perché per lui
tutto era contenuto nel rapporto con Gesù, nel suo amore. Le stimmate
che ricevette verso la fine della sua vita sono proprio il segno di
questo intensissimo rapporto che lo identificava con Cristo. Francesco
fu sempre piccolo, volle rimanere piccolo davanti a Dio e non accettò
neppure il sacerdozio per rimanere un semplice fratello, il più piccolo
di tutti, per amore del Signore.
Per lui si sono realizzate in pieno le parole di Gesù: "il mio giogo è
dolce e il mio carico leggero". Quanta gioia nell'anima di Francesco,
povero di tutto e ricco di tutto, che accoglieva tutte le creature con
cuore di fratello, che nell'amore del Signore sentiva dolci anche le
pene!
Anche per noi il giogo del Signore sarà dolce, se lo riceviamo dalle sue mani.
Nella lettera ai Galati san Paolo ci dà la possibilità di capire meglio
alcuni aspetti di questo giogo con due espressioni che sembrano
contradditorie ma sono complementari. La prima è: "Portate i pesi gli
uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo". I pesi degli
altri: questo è il giogo del Signore. San Francesco l'aveva capito agli
inizi della sua conversione. Raccontò alla fine della vita: "Essendo io
in peccato, troppo amaro mi sembrava vedere i lebbrosi, ma lo stesso
Signore mi condusse fra loro ed io esercitai misericordia con loro".
Ecco il giogo, che consiste nel caricarsi del peso degli altri, anche se
farlo ci sembra duro. E continua: "E partendomene, ciò che mi era
apparso amaro mi fu convertito in dolcezza nell'anima e nel corpo". Per
chi se ne è veramente caricato, il giogo diventa dolce.
Poche righe più avanti troviamo la seconda frase di san Paolo: "Ciascuno
porterà il proprio fardello". Si direbbe in contrasto con la prima, ma
nel contesto il significato è chiarissimo: si tratta di non giudicare
gli altri, di essere pieni di comprensione per tutti, di non imporre
agli altri i nostri modi di vedere e di fare, di guardare ai propri
difetti e di non prendere occasione dai difetti altrui per imporre alle
persone pesi che non sono secondo il pensiero del Signore. San Francesco
si preoccupava di questo e nella sua regola scrive: "Non ritenersi
primo fra i fratelli": essere umili; "Non si considerino mai come
padroni": non imporre pesi agli altri; e aggiunge: "Chi digiuna non
giudichi chi mangia". E la delicatezza della carità, che se vede il
fardello degli altri non li critica, non li giudica, ma piuttosto li
aiuta.
Prendiamo così su di noi il giogo di Cristo. Carichiamoci dei pesi degli
altri e non pesiamo su di loro con critiche e giudizi privi di
misericordia, perché possiamo conoscere meglio il Figlio di Dio che è
morto per noi, e in lui conoscere il Padre che è nei cieli, con la
stessa gioia di san Francesco.
***
Avila, Spagna, 1515 - Alba de Tormes, Spagna, 15 ottobre
1582
Nata nel 1515, fu donna di eccezionali talenti di mente e di
cuore. Fuggendo da casa, entrò a vent'anni nel Carmelo di Avila, in Spagna.
Faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua «conversione», a 39
anni. Ma l'incontro con alcuni direttori spirituali la lanciò a grandi passi
verso la perfezione. Nel Carmelo concepì e attuò la riforma che prese il suo
nome. Unì alla più alta contemplazione un'intensa attività come riformatrice
dell'Ordine carmelitano. Dopo il monastero di San Giuseppe in Avila, con
l'autorizzazione del generale dell'Ordine si dedicò ad altre fondazioni e poté
estendere la riforma anche al ramo maschile. Fedele alla Chiesa, nello spirito
del Concilio di Trento, contribuì al rinnovamento dell'intera comunità
ecclesiale.
Morì a Alba de Tormes (Salamanca) nel 1582. Beatificata nel 1614,
venne canonizzata nel 1622.
Paolo VI, nel 1970, la proclamò Dottore della Chiesa.
Etimologia: Teresa = cacciatrice, dal greco; oppure donna amabile e forte, dal tedesco
Emblema: Giglio
Martirologio Romano: Memoria di santa Teresa di Gesù, vergine e dottore della Chiesa: entrata ad Ávila in Spagna nell'Ordine Carmelitano e divenuta madre e maestra di una assai stretta osservanza, dispose nel suo cuore un percorso di perfezionamento spirituale sotto l'aspetto di una ascesa per gradi dell'anima a Dio; per la riforma del suo Ordine sostenne molte tribolazioni, che superò sempre con invitto animo; scrisse anche libri pervasi di alta dottrina e carichi della sua profonda esperienza.
Il passo della lettera ai Romani evoca la fecondità interiore della santa e capiamo che tutta la sua dottrina veniva proprio da un cuore formato dallo Spirito Santo. Ella stessa parla della forza delle sue aspirazioni spirituali, della loro profondità; si tratta veramente di gemiti, come dice san Paolo: "Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, intercede per noi con gemiti inesprimibili". "Salvàti nella speranza", noi gemiamo verso Dio.
Questa vita "spirituale" nel senso più forte del termine, unisce santa Teresa alle tre Persone divine, e lo si comprende meglio leggendo i versetti successivi a quelli riportati, che già parlano dello Spirito di Dio che prega in noi con gemiti inesprimibili. La nostra preghiera è in noi stessi l'attività di Dio, del suo Spirito, se è preghiera autentica, se è preghiera cristiana. Non sono parole di sapienza umana, non sono un'invenzione umana: è l'attività dello Spirito in noi, che cerca di penetrare il nostro essere, di trasformarlo per slanciarci in Dio, per approfondire in noi il desiderio di Dio, per dare uno slancio fortissimo verso il Padre. Questo grido dello Spirito in noi è espresso nel salmo di ingresso: "L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente", anela a Dio, perché già abbiamo gustato la vita di Dio, perché siamo abitati da Dio. "E Dio che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito": c'è una corrispondenza tra ciò che Dio vuole per noi e ciò che in noi lo Spirito realizza secondo la volontà di Dio.
Ora tutto questo continua la lettera di Paolo - è affinché diventiamo simili al Figlio, perché "quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo".
Lo Spirito ci è dato per mezzo del Figlio. È per la parola del Figlio che possiamo ricevere in noi lo Spirito; è per il sacrificio del Figlio che otteniamo in noi la vita di Dio, che è vita dello Spirito: l'acqua viva, simbolo dello Spirito Santo, è ormai unita al sangue uscito dal fianco di Cristo; è dunque attraverso Cristo che riceviamo lo Spirito che ci slancia verso il Padre, trasformandoci a immagine del Figlio.
E il nostro cuore diventa un cuore buono perché in esso vive la Trinità. Dice un passo del Vangelo che l'uomo buono estrae cose buone dal suo cuore. Noi non possiamo pretendere che il nostro cuore sia buono: è lo Spirito che venendo vi porta la vita di Dio e lo trasforma, in modo che possiamo estrarre dal suo tesoro cose buone per coloro che avviciniamo. E ciò che ha fatto Teresa d'Avila. Ha spalancato il suo cuore a tutta la forza della vita divina che veniva a lei da Cristo e dallo Spirito e che la lanciava verso Dio e da questo cuore colmo di Dio ha estratto tesori di vita spirituale per tutti quelli che le erano affidati e per le generazioni successive.
Domandiamo al Signore la stessa fiducia di santa Teresa e di aprire il nostro cuore all'azione dello Spirito Santo che ci viene da Gesù e ci conduce al Padre.
Ella sapeva che stando continuamente accanto al Signore avrebbe ottenuto dalla Sua Onnipotenza doni di grazia per la Chiesa martoriata dalle corruzioni, dalle infedeltà, dagli scismi; doni di grazia per il Papa, per i sacerdoti, per i missionari, per i cattolici... ella sapeva che, come ogni gesto d'amore offerto al prossimo sale al Signore, così ogni gesto d'amore offerto al Signore ricade sul prossimo. La piccola comunità delle Carmelitane Scalze (come venivano chiamate le monache di San José) diede una tale testimonianza di santità che ben presto molte giovani chiesero di abbracciare quella vita in cui austerità e gioia, rigore e soavità, solitudine e cordialità si fondevano in un equilibrio mirabile.
Quello che Teresa inserì nell'Ordine non fu soltanto una serie di norme, finalizzate alla crescita interiore, ma soprattutto una profonda unione fra vita mistica e vita apostolica. La visita di un francescano di ritorno dalle Indie stimola ancora di più il suo ardore missionario e sollecita le sue figlie a pregare «con gli occhi fissi sui bisogni della Chiesa».
Una notte del 1566 ha la prescienza che la sua opera di riforma deve proseguire; sei mesi dopo, padre Rubeo, Superiore generale dell'Ordine del Carmelo, durante una sua visita al convento di San José, viene conquistato dalla fede, dall'intelligenza e dall'ardore di Madre Teresa di Gesù, perciò l'autorizza a fondare in Castiglia molti monasteri, compresi due conventi di Carmelitani Scalzi; una misura di importanza vitale, infatti santa Teresa sa che la sua riforma avrà successo solo se le figlie saranno sostenute da confessori e direttori spirituali che obbediscono alla stessa Regola.
Ha 52 anni e inizia una nuova tappa della sua vita religiosa: si appresta a percorrere le strade della Castiglia, nel freddo più intenso e nelle estati polverose, a dorso di mulo o in carri coperti, senza cessare di pregare e di meditare. Sorgono chiostri su chiostri: Medina, Malagon e Valladolid (1568); Toledo e Pastrana (1569); Salamanca (1570); Alba de Tormes (1571); Segovia, Beas e Siviglia (1574); Soria (1581); Burgos (1582)... Si fa «mercanteggiatrice», «maneggiatrice di affari», come ella stessa si autodefinisce nell'autobiografia; discute il prezzo dei terreni sui cui erigere i conventi; si relaziona con le autorità civili per ottenere le autorizzazioni necessarie; cerca validi collaboratori.
Nel 1567 incontra un giovane che studia a Salamanca, è stato appena ordinato sacerdote e si prepara ad entrare in una certosa: è Giovanni di San Mattia. Madre Teresa di Gesù si accorge subito di essere di fronte ad un'anima eletta e allora gli chiede di cambiare i suoi piani. Eccolo, allora, san Giovanni della Croce prendere la veste degli Scalzi e accompagnare la fondatrice nei suoi viaggi. «Era così buono», scriverà la santa, «che ero io a dover imparare da lui molto di più di quanto potessi insegnargli». Nasce fra le loro anime un'amicizia spirituale straordinaria, di sorprendente efficacia, sia nei momenti prosperi, sia in quelli di grande buio. A partire dal 1577 il conflitto fra le due osservazioni del Carmelo, quella lassista e quella fedele alla Regola originale, si intensifica in un'atmosfera di passione e di incomprensione.
La morte del principale protettore dei Carmelitani riformati, il nunzio Nicolas Ormaneto, priva Teresa di un prezioso appoggio, tanto più che viene sostituito da un nemico degli Scalzi, Filippo Sega. Poiché le religiose dell'Incarnazione di Avila nel 1577 hanno osato eleggere Teresa di Gesù priora del convento, vengono scomunicate dal loro provinciale. E mentre Madre Teresa di Gesù viene reclusa nel convento di San José, Giovanni della Croce è arrestato. Il nunzio Sega pone i riformati sotto il governo di quelli che seguono la Regola blanda.
Santa Teresa però non demorde e non si rassegna all'ingiustizia dell'autorità umana, perciò decide di rivolgersi a Re Filippo II di Spagna per salvare la riforma del ramo femminile e maschile dell'Ordine. Nel 1580 ottiene un breve pontificio da parte di Gregorio XIII, che costituisce gli Scalzi in provincia separata, ponendo così fine a dieci anni di lotte fra le due correnti del Carmelo: se santa Teresa non avesse resistito, la salubre riforma sarebbe affondata sotto le persecuzioni e le ostilità. Anche oggi la Chiesa attende, come 500 anni fa, anime coraggiose, pronte, con carità, a sfidare l'errore per restaurare la verità dentro e fuori i conventi.
(titolo sotto la sua statua nella basilica vaticana);
Nel 1560 ebbe la prima idea di un nuovo Carmelo ove potesse vivere meglio la sua regola, realizzata due anni dopo col monastero di S. Giuseppe, senza rendite e "secondo la regola primitiva": espressione che va ben compresa, perchè allora e subito dopo fu più nostalgica ed "eroica" che reale. Cinque anni più tardi Teresa ottenne dal Generale dell'Ordine, Giovanni Battista Rossi - in visita in Spagna - l'ordine di moltiplicare i suoi monasteri ed il permesso per due conventi di "Carmelitani contemplativi" (poi detti Scalzi), che fossero parenti spirituali delle monache ed in tal modo potessero aiutarle. Alla morte della Santa i monasteri femminili della riforma erano 17. Ma anche quelli maschili superarono ben presto il numero iniziale; alcuni con il permesso del Generale Rossi, altri - specialmente in Andalusia - contro la sua volontà, ma con quella dei visitatori apostolici, il domenicano Vargas e il giovane Carmelitano Scalzo Girolamo Graziano (questi fu inoltre la fiamma spirituale di Teresa, al quale si legò con voto di far qualsiasi cosa le avesse chiesto, non in contrasto con la legge di Dio). Ne seguirono incresciosi incidenti aggravatisi per interferenze di autorità secolari ed altri estranei, sino all'erezione degli Scalzi in Provincia separata nel 1581. Teresa potè scrivere: "Ora Scalzi e Calzati siamo tutti in pace e niente ci impedisce di servire il Signore". Teresa è tra le massime figure della mistica cattolica di tutti i tempi. Le sue opere - specialmente le 4 più note (Vita, Cammino di perfezione, Mansioni e Fondazioni) - insieme a notizie di ordine storico, contengono una dottrina che abbraccia tutta la vita dell'anima, dai primi passi sino all'intimità con Dio al centro del Castello Interiore. L' Epistolario, poi, ce la mostra alle prese con i problemi più svariati di ogni giorno e di ogni circostanza. La sua dottrina sull'unione dell'anima con Dio (dottrina da lei intimamente vissuta) è sulla linea di quella del Carmelo che l'ha preceduta e che lei stessa ha contribuito in modo notevole ad arricchire, e che ha trasmesso non solo ai confratelli, figli e figlie spirituali, ma a tutta la Chiesa, per il cui servizio non badò a fatiche. Morendo la sua gioia fu poter affermare: "muoio figlia della Chiesa".
Verosvres , Autun, Francia, 1647 - Paray-le-Monial, 17 ottobre 1690
Nata in Borgogna nel 1647, Margherita ebbe una giovinezza
difficile, soprattutto perché dovette vincere la resistenza dei genitori per
entrare, a ventiquattro anni, nell'Ordine della Visitazione, fondato da san
Francesco di Sales. Margherita, diventata suor Maria, restò vent'anni tra le
Visitandine, e fin dall'inizio si offrì «vittima al Cuore di Gesù». Fu
incompresa dalle consorelle, malgiudicata dai superiori. Anche i direttori
spirituali dapprima diffidarono di lei, giudicandola una fanatica visionaria.
Il beato Claudio La Colombière divenne preziosa guida della mistica suora della
Visitazione, ordinandole di narrare, nell'autobiografia, le sue esperienze
ascetiche. Per ispirazione della santa, nacque la festa del Sacro Cuore, ed ebbe
origine la pratica dei primi Nove Venerdì del mese. Morì il 17 ottobre 1690.
Etimologia: Margherita = perla, dal greco e latino
Emblema: Giglio
Martirologio Romano: Santa Margherita Maria Alacoque,
vergine, che, entrata tra le monache dell'Ordine della Visitazione della beata
Maria, corse in modo mirabile lungo la via della perfezione; dotata di mistici
doni e particolarmente devota al Sacratissimo Cuore di Gesù, fece molto per
promuoverne il culto nella Chiesa. A Paray-le-Monial nei pressi di Autun in Francia,
il 17 ottobre, si addormentò nel Signor
(17 ottobre: A Paray-le-Monial nel territorio di Autun in Francia, transito di
santa Margherita Maria Alacoque, vergine, la cui memoria si celebra il giorno
precedente a questo).
***
La memoria di Santa Margherita Maria Alacoque, francese, è
legata alla diffusione della devozione del Sacro Cuore, una devozione tipica
dei tempi moderni, e promossa infatti soltanto tre secoli fa, quando soffiò
sulla Francia il vento gelido del Giansenismo, foriero della tormenta
dell'Illuminismo.
All'origine della devozione al Cuore di Gesù si trovano due grandi Santi:
Giovanni Eudes e Margherita Maria Alacoque. Del primo abbiamo già parlato il 19
agosto. dicendo come questo moschettiere dell'amore di Gesù e Maria fosse il
primo e più fervido propagatore del nuovo culto.
Santa Margherita Maria Alacoque, da parte sua, fu colei che rivelò in tutta la
loro mirabile profondità i doni d'amore dei cuore di Gesù, traendone grazie
strepitose per la propria santità, e la promessa che i soprannaturali carismi
sarebbero stati estesi a tutti i devoti del Sacro Cuore.
Nata in Borgogna nel 1647, Margherita ebbe una giovinezza difficile,
soprattutto perché non le fu facile sottrarsi all'affetto dei genitori, e alle
loro ambizioni mondane per la figlia, ed entrare, a ventiquattro anni,
neII'Ordine della Visitazione, fondato da San Francesco di Sales. Margherita,
diventata suor Maria, restò vent'anni tra le Visitandine, e fin dall'inizio si
offrì " vittima al Cuore di Gesù ". In cambio ricevette grazie
straordinarie, come fuor dell'ordinario furono le sue continue penitenze e
mortificazioni sopportate con dolorosa gioia. Fu incompresa dalle consorelle,
malgiudicata dai Superiori. Anche i direttori spirituali dapprima diffidarono
di lei, giudicandola una fanatica visionaria. " Ha bisogno di minestra
", dicevano, non per scherno, ma per troppo umana prudenza.
Ci voleva un Santo, per avvertire il rombo della santità. E fu il Beato Claudio
La Colombière, che divenne preziosa e autorevole guida della mistica suora
della Visitazione, ordinandole di narrare, nella Autobiografia, le sue
esperienze ascetiche, rendendo pubbliche le rivelazioni da lei avute.
"Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini", le venne detto un
giorno, nel rapimento di una visione: una frase restata quale luminoso motto
della devozione al Sacro Cuore. E poi, le promesse: "Il mio cuore si
dilaterà per spandere con abbondanza i frutti del suo amore su quelli che mi
onorano". E ancora: "I preziosi tesori che a te discopro, contengono
le grazie santificanti per trarre gli uomini dall'abisso di perdizione".
Per ispirazione della Santa, nacque così la festa del Sacro Cuore, ed ebbe
origine la pratica pia dei primi Nove Venerdì del mese. Vinta la diffidenza,
abbattuta l'ostilità, scossa la indifferenza, si diffuse nel mondo la devozione
a quel Cuore che a Santa Margherita Alacoque era apparso "su di un trono di
fiamme, raggiante come sole, con la piaga adorabile, circondato di spine e
sormontato da una croce". E' l'immagine che appare ancora in tante case, e
che ancora protegge, in tutto il mondo, le famiglie cristiane.
Autore: Piero Bargellini
Nelle tre virtù teologali la speranza si trova tra la fede e
la carità: si appoggia alla fede e dà slancio alla carità. Avere molta speranza
è come orientarsi verso la cima di una montagna: chi vuoi raggiungerla desidera
superare tutti gli ostacoli per poter contemplare il meraviglioso panorama che
si gode dall'alto.
Sant'Ignazio d'Antiochia era colmo di un'immensa speranza; non assomigliava a
quelli che san Paolo descrive nella lettera ai Filippesi, privi di speranza
perché sono "tutti intenti alle cose della terra". Nella lettera agli
Efesini san Paolo attribuisce alla mancanza di speranza tutta l'immoralità del
mondo pagano: non avendo speranza, si sono abbandonati ai loro desideri impuri,
che li trascinano in basso. I cristiani invece sono uomini e donne ricchi di
una grande speranza, sanno di essere cittadini del cielo "e di là
aspettano come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il
nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso".
Anche il Signore, nel Vangelo di oggi, ci anima a una grande speranza: la
speranza di conservare la nostra vita per la vita eterna, di essere con lui
dove egli e, cioè nella gloria del Padre, di essere onorati dal Padre: "Se
uno mi serve, il Padre lo onorerà". "Chi ha questa speranza dice san
Giovanni si conserva puro". E la speranza a dare la forza di resistere
alle tentazioni, a dare il coraggio di resistere nelle difficoltà. Nella
Colletta della messa di oggi chiediamo a Dio che la passione di sant'Ignazio di
Antiochia sia per noi fonte di fortezza nella fede. Perché possiamo pregare
cosi? Perché essa è una manifestazione di grande speranza. Sant'Ignazio ha
avuto il coraggio di perdere la vita per guadagnarla. Scrivendo ai Romani egli
dice:
"C'è in me un'acqua viva che mi sussurra: Vieni al Padre!". E
l'espressione della sua speranza: la parola di Cristo è diventata in lui come
una sorgente che vuol zampillare fino al Padre. Egli ardeva dal desiderio di
guadagnare Cristo e per questo vedeva la necessità di essere simile a lui nella
passione, di essere macinato dai denti delle belve per diventare frumento di
Cristo. "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se
invece muore, produce molto frutto", leggiamo nel Vangelo. Nella sua
grande speranza egli corre incontro al martirio, con un coraggio intrepido;
scrive ai Romani di non intervenire per allontanare da lui quelle sofferenze
che sono la ragione della sua speranza, perché grazie ad esse potrà ricevere la
più grande grazia di Dio, la vittoria del martirio e infine la gloria di essere
accanto a Cristo.
Ed ora Ignazio splende ai nostri occhi come un santo ardente di fervore e di
amore, che ci fa vergognare dei nostri atteggiamenti di fronte alle piccole
difficoltà della nostra vita. Come san Paolo scrive ripetutamente, dovremmo
poter dire: "Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la
tribolazione produce la pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù
provata la speranza". Ed è una speranza che non delude.
Antiochia di Siria - Roma (?) - Primo secolo dopo Cristo.
Figlio di pagani, Luca appartiene alla seconda generazione
cristiana. Compagno e collaboratore di san Paolo, che lo chiama «il caro
medico», è soprattutto l'autore del terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli.
Al suo Vangelo premette due capitoli nei quali racconta la nascita e l'infanzia
di Gesù. In essi risalta la figura di Maria, la «serva del Signore, benedetta
fra tutte le donne». Il cuore dell'opera, invece, è costituito da una serie di
capitoli che riportano la predicazione da Gesù tenuta nel viaggio ideale che lo
porta dalla Galilea a Gerusalemme. Anche gli Atti degli Apostoli descrivono un
viaggio: la progressione gloriosa del Vangelo da Gerusalemme all'Asia Minore,
alla Grecia fino a Roma.
Protagonisti di questa impresa esaltante sono Pietro e Paolo. A un livello superiore il vero protagonista è lo Spirito Santo, che a Pentecoste scende sugli Apostoli e li guida nell'annuncio del Vangelo agli Ebrei e ai pagani. Da osservatore attento, Luca conosce le debolezze della comunità cristiana così come ha preso atto che la venuta del Signore non è imminente. Dischiude dunque l'orizzonte storico della comunità cristiana, destinata a crescere e a moltiplicarsi per la diffusione del Vangelo. Secondo la tradizione, Luca morì martire a Patrasso in Grecia.
Patronato: Artisti, Pittori, Scultori, Medici, Chirurghi
Etimologia: Luca = nativo della Lucania, dal latino
Emblema: Bue
Martirologio Romano: Festa di san Luca, Evangelista, che, secondo la tradizione, nato ad Antiochia da famiglia pagana e medico di professione, si convertì alla fede in Cristo. Divenuto compagno carissimo di san Paolo Apostolo, sistemò con cura nel Vangelo tutte le opere e gli insegnamenti di Gesù, divenendo scriba della mansuetudine di Cristo, e narrò negli Atti degli Apostoli gli inizi della vita della Chiesa fino al primo soggiorno di Paolo a Roma.
I medici-chirurghi sono cristianamente sotto la protezione
dei Santi Cosma e Damiano, i martiri guaritori anargiri vissuti nel III secolo
e attivi gratuitamente in Siria. Anche altri santi "minori " sono invocati,
specialmente per alcune branche specialistiche come l'oculistica e
l'odontoiatria. Ma il principe patrono della categoria è, senza ombra di
dubbio, San Luca evangelista, che una lunga tradizione vuole originario di
Antiochia, tanto da essere denominato "il medico antiocheno".
Come è noto, tale importante città, che corrisponde all'attuale Antakia
nella Turchia sudorientale, fu fondata quale capitale del regno di Siria nel
301 a.C.; vi fiorì una numerosa colonia giudaica e fu poi sede di una delle più
antiche comunità cristiane. Luca, il cui nome è probabilmente abbreviazione di
Lucano, vi nacque come pagano, ma diventò proselita o quanto meno simpatizzante
della religione ebraica.
Egli non era discepolo di Gesù di Nazaret; si convertì dopo, pur non
figurando nemmeno come uno dei primitivi settantadue discepoli. Diventò membro
della comunità cristiana antiochena, probabilmente verso l'anno 40. Fu poi
compagno di San Paolo (Tarso, inizio I° secolo/ forse 8 d.C.-Roma, 67 ca.) in
alcuni suoi viaggi. Lo si trova con l'apostolo delle genti a Filippi,
Gerusalemme e Roma. Sostanzialmente suo discepolo, condivise la visione
universale paolina della nuova religione e, allorché decise di scrivere le
proprie opere, lo fece soprattutto per le comunità evangelizzate da Paolo,
ossia in genere per convertiti dal paganesimo. Si incontrò tuttavia anche con
San Giacomo il Minore, capo della Chiesa di Gerusalemme, con San Pietro, più a
lungo con San Barnaba e forse con San Marco.
La qualifica di medico attribuita a Luca viene confermata, secondo gli
studiosi, dall'esame interno delle sue opere. La sua cultura e la preparazione
specifica erano sicuramente note tra le comunità di cui faceva parte; potrebbe
addirittura avere curato la Madre del Signore. Certamente la sua cultura
generale e la sua esperienza degli uomini erano piuttosto notevoli. Prove ne
siano lo stile e l'uso della lingua greca nonché la struttura stessa dei suoi
scritti: il terzo Vangelo e gli Atti degli Apostoli. La data di composizione
degli Atti viene fatta risalire agli anni 63-64, quella del Vangelo ad un anno
o due prima. Luca coltivava anche l'arte e la letteratura. Un'antica tradizione
lo vuole addirittura autore di alcune "Madonne" che si venerano ancora ai
nostri giorni, come in Santa Maria Maggiore a Roma.
Egli è il solo evangelista a dilungarsi sull'infanzia di Gesù ed a
narrare episodi della vita della Madonna che gli altri tre non hanno riferito.
Le fonti della sua narrazione furono i racconti dei discepoli e delle donne che
vissero al seguito di Gesù; quasi sicuramente i Vangeli di Matteo e di Marco,
che lui conosceva. Con la precisione cronologica e spesso geografica con la
quale riferì delle vicende del Vangelo, così egli, insieme a tanta passione,
raccontò negli Atti i primi passi della comunità cristiana dopo la Pentecoste.
Per alcuni studiosi Luca avrebbe scritto parecchio nella regione della
Beozia, regione dell'antica Grecia confinante a sud con il golfo di Corinto e
l'Attica. Tale regione fu sede di regni importanti come quello di Tebe. Per i
Greci addirittura l'evangelista sarebbe morto in quei luoghi all'età di
ottantaquattro anni, senza essersi mai sposato e senza avere avuto figli. Per
altri invece egli sarebbe morto in Bitinia, regione nord-occidentale
dell'odierna Turchia.
Per la verità nulla di certo si sa della vita di Luca dopo la morte di
San Paolo. Addirittura non si conosce sicuramente se egli abbia terminato la
propria esistenza terrena con una morte naturale oppure come martire appeso ad
un olivo. Ovviamente ignoto è il luogo della prima sepoltura. Vi sono tre città
soprattutto che si appellano ad una tradizione di traslazione del corpo
dell'evangelista: Costantinopoli, Padova e Venezia. Sono città quindi intorno
alle quali e dalle quali si diffuse il suo culto. Recentissimi studi avrebbero
dimostrato che sue sono le spoglie mortali, eccezione fatta per il capo,
conservate a Padova nella basilica benedettina di Santa Giustina. In tale città
veneta sarebbero giunte per sottrarle alla distruzione degli iconoclasti e là
già nel XIV secolo fu per loro costruita una cappella ed un'Arca, detta appunto
di San Luca.
II simbolo di San Luca evangelista è il vitello, animale sacrificale. II
18 ottobre viene celebrata nella Chiesa universale la sua solennità, la
solennità di Colui che Dante ha definito lo "scriba della mansuetudine di
Cristo" per il predominio, nel suo Vangelo, di immagini di mitezza, di gioia e
di amore.
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L'evangelista Luca può esserci particolarmente caro perché è l'evangelista della Madonna. Solo da lui ci sono state tramandate l'annunciazione, la visitazione, le scene del Natale, della presentazione al tempio di Gesù. E si può anche dire l'evangelista del cuore di Gesù, perché è Luca che ci rivela meglio la sua misericordia: è l'evangelista della parabola del figlio prodigo un tesoro che troviamo soltanto nel suo Vangelo, della dramma perduta e ritrovata. E' l'evangelista della carità: lui solo ci racconta la parabola del buon samaritano, e parla dell'amore di Gesù per i poveri con accenti più teneri degli altri: ci presenta il Signore che si commuove davanti al dolore della vedova di Nain; che accoglie la peccatrice in casa di Simone il fariseo con tanta delicatezza e le assicura il perdono di Dio; che accoglie Zaccheo con tanta bontà da cambiare il suo esoso cuore di pubblicano in un cuore pentito e generoso.
San Luca è dunque l'evangelista della fiducia, della pace, della gioia; in una
parola possiamo dire che è l'evangelista dello Spirito Santo. Negli Atti degli
Apostoli è lui che ha trovato la formula tanto cara alle comunità cristiane:
"formare un cuor solo e un'anima sola", che è ripresa anche
dall'orazione della Colletta di oggi:
"Signore Dio nostro, che hai scelto san Luca per rivelare al mondo il
mistero della tua predilezione per i poveri, fa' che i cristiani formino un
cuor solo e un'anima sola, e tutti i popoli vedano la tua salvezza". E la
comunità cristiana, fondata sull'amore di Gesù e anche sull'amore alla povertà:
solo persone non attaccate ai beni terreni per amore del Signore possono
formare un cuor solo e un'anima sola.
Il Vangelo di san Luca lo rivela pieno di zelo. Soltanto lui riporta l'invio in
missione dei settantadue discepoli (gli esegeti pensano che questo sia un numero
simbolico e rappresenti le settantadue nazioni dell'universo) e alcuni
particolari di questa missione: "Il Signore designò altri settantadue
discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava
per recarsi". San Gregorio Spiega: "Bisogna che i discepoli siano
messaggeri della carità di Cristo. Se non sono almeno due la carità non è
possibile, perché essa non si esercita verso se stessi, ma è amore per
l'altro".
Ci sono dunque molti tesori nell'opera di san Luca e noi possiamo attingervi
con riconoscenza, non dimenticando l'aspetto che l'evangelista sottolinea
maggiormente: darci tutti al Signore, essere suoi discepoli pronti a portare la
croce ogni giorno con lui. Allora il nostro amore è autentico e porta veramente
i frutti dello Spirito: la pace, la gioia, la benevolenza.